Il 20 settembre del 1870 è una data di importanza eccezionale per l’Italia e per il Vaticano: in quel giorno cessa il millenario potere temporale dei Papi e Roma diventa la Capitale dell’Italia, finalmente unificata. A quell’epoca la città ha due facce ben distinte: da un lato il Vaticano e la nobiltà papalina, con i suoi sfarzosi palazzi; dall’altro un popolo miserabile e turbolento, con i bambini a disposizione dei ricchi pedofili che vengono da tutta Europa per soddisfare a poco prezzo i loro vizi. Ne parla Goethe nel suo Viaggio in Italia; lo ha ricordato di recente Gian Antonio Stella nel suo splendido L’orda.

Fra i tanti Stati in cui è divisa l’Italia, nel 1870 il Vaticano è l’unico a non avere ancora abolito la pena di morte, che pratica spesso: una lapide in piazza del Popolo ricorda i due anarchici Angelo Targhini e Leonida Montanari, decapitati sul posto dal famoso boia Mastro Titta. Fra il 1796 e il 1870 si contano, fra impiccagioni, decapitazioni e talvolta (per variare) squartamenti, 527 esecuzioni. La pena di morte resterà in vigore – anche se limitata al reato di uccisione del Papa – fino al febbraio del 2001, quando Giovanni Paolo II la cancellerà dalla “Legge Fondamentale” (l’equivalente della nostra Costituzione).

Dopo la presa di Roma, comincia una faticosa convivenza, regolata dalla Legge delle Guarentigie, varata dal governo italiano nel maggio del 1871, con la quale lo Stato garantisce al Papa l’inviolabilità della persona, il conferimento degli onori sovrani, la possibilità di mantenere guardie armate al proprio servizio, il possesso dei “sacri palazzi” ; assicura la extraterritorialità del Vaticano; si fa carico (con uno stanziamento annuale di 3.225.000 lire) delle spese di mantenimento della corte papale. Nonostante le molteplici aperture e concessioni operate dallo Stato, la Chiesa oppose un rifiuto sdegnato della legge (che, a parere del pontefice, garantiva solo “futili privilegi e immunità”).

Penso siano note a tutti le generosissime concessioni fatte al Vaticano da Mussolini (ansioso di conquistarsi il favore dei cattolici) con il Concordato del 1929, solo in parte ridotte con la revisione del 1984 (Craxi-Casaroli), così come è noto, almeno per sommi capi, il meccanismo di ripartizione dell’otto per mille, che assicura alla Chiesa Cattolica un indebito vantaggio di qualche miliardo l’anno.

Credo invece che pochi sappiano che ancora oggi lo Stato italiano si fa carico di amministrare 360 chiese, fra cui alcune fra le più celebri e fastose, da San Giovanni e Santa Maria del Popolo a Roma, Santa Chiara e San Domenico Maggiore a Napoli e molte altre in tutta Italia. Comprese tutte le opere d’arte presenti nelle chiese. La missione affidata al Fondo edifici di culto (Fec), gestito dal Ministero degli Interni, è quella di assicurare la tutela, la valorizzazione, la conservazione e il restauro dei beni, poi utilizzati dalla Chiesa Cattolica per le proprie esigenze di culto. Con un costo per lo Stato di cui non è facile conoscere l’entità.

La generosità dei nostri governanti nei confronti della Chiesa è stata clamorosamente confermata di recente, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del novembre 2018 che ha ingiunto allo Stato italiano di reclamare dal Vaticano i 4 o 5 miliardi (stima Anci) di Ici arretrato. Nemmeno in tempi di Covid – mentre da un lato l’Italia annaspa per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia e dall’altro papa Bergoglio assicura di voler aiutare “la cara Italia” – risulta che il nostro ministro dell’Economia non abbia osato bussare alle porte di San Pietro per chiedere che si dia “a Cesare quel che è di Cesare”. Rischiando così una ennesima procedura di infrazione per l’Italia.

Del resto, c’è poco da aspettarsi da una classe politica (con poche distinzioni fra partiti) che da sempre sopporta le invasioni di campo del Vaticano negli affari interni del nostro Stato. E lo fa con una arroganza che non tiene conto della rapidissima secolarizzazione della società italiana, così sintetizzata nell’ultimo rapporto annuale dell’Eurispes: fra quanti si dicono genericamente “cattolici”, il 25,4% è praticante, il 45,7% non praticante. Se poi si guarda alla percentuale dei giovanissimi, si scende al 13,5%. In prospettiva, una religione destinata alla irrilevanza se non in via di estinzione.

Per tutte queste ragioni la ricorrenza del prossimo 20 settembre, quest’anno, meriterebbe di essere celebrata con particolare solennità. Sembrava convinto di ciò anche il governo, che aveva dato vita ad un Comitato di esperti incaricato di stendere un calendario di eventi per la storica ricorrenza.

E invece proprio in questi giorni lo stesso governo – dovendo fissare una data a settembre per le elezioni regionali – ha scelto, fra le 4 domeniche disponibili, proprio la domenica 20 settembre (e il successivo lunedì mattina). E’ vero che nel Lazio non si voterà, ma è certo che l’attenzione politica e giornalistica sarà tutta concentrata sull’andamento e sui risultati delle elezioni, che potranno significare anche la sopravvivenza o la fine del debole governo in carica, con tutto quanto ne conseguirebbe.

Senza voler fare della “dietrologia”, è inevitabile chiedersi se si è trattato di un incredibile errore politico o se dietro questa scelta ingiustificata e ingiustificabile non vi sono le pressioni del mondo cattolico per distogliere l’attenzione degli italiani da quello che resterà sempre un giorno di lutto per il potere pontificio e di festa per il mondo laico. Anche per questo il 20 settembre, a Porta Pia, dovremo essere in tanti.

Ps. Ho chiesto alla Associazione Luca Coscioni, di cui sono un assiduo collaboratore da molti anni, di prendere posizione contro questa stolta decisione del Governo. Già il suo nome – “Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica”- giustificherebbe in pieno una contrapposizione con quella Chiesa che ha messo al rogo Giordano Bruno e ha processato Galileo Galilei (ma anche ai nostri giorni, non potendo ricorrere a rogo e processi, ostacola in ogni modo la ricerca scientifica in campo medico: basti ricordare la guerra di Ruini contro la procreazione medicalmente assistita, che ha portato l’Italia al paradosso di un pazzesco referendum).

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