2 luglio 2019: fa un po’ caldo nella sala biblioteca dell’Assessorato dell’Agricoltura della Regione Sardegna. Siamo in tanti, è quasi un giorno di presentazione. Le elezioni sono passate da molti mesi, il presidente e l’assessora sono in carica, ancora ci si ricorda della rivolta dei pastori (ve la ricordate voi? Per ora pare che se ne siano dimenticati tutti, tranne quelli che stanno venendo perseguitati dalla giustizia), e sembra un giorno delle grandi occasioni.
L’assessora annuncia, da qua a qualche giorno, la presentazione di un progetto di legge di riforma organica del sistema pubblico agricolo (Assessorato più tre agenzie). Bene, così si fa, ce n’è bisogno. Parliamo di più di un migliaio di dipendenti pubblici e di diverse decine di milioni di stipendi, ma soprattutto della struttura che sovrintende al settore primario in Sardegna.
2 luglio 2020: sono passati 365 giorni, ma di quel progetto di legge di riforma organica non si sa nulla. Forse è in qualche cassetto, di sicuro non se ne è discusso, non si sa se esiste. La Direzione generale dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale è passata da circa 120 unità a poco più di 70. Non si sono assunte figure tecniche, l’età media è terribilmente alta, si arranca.
Argea vive da più di 5 anni con la spada di Damocle del diventare organismo pagatore dei contributi a valere sul secondo pilastro della Pac (Politica agricola comune), oggi effettuati da Agea. Nel momento in cui si scrive non si è detta una parola chiara se, su questo punto, si assisterà ad un misero fallimento o no.
Agris e Laore, il primo vocato alla ricerca e il secondo istituzionalmente responsabile dell’assistenza e dell’animazione verso il mondo delle campagne e della pesca, sono in crisi di identità da anni, e non sono pervenuti segnali di alcuni tipo.
Al momento non è chiaro quali obiettivi il governo regionale si è dato per il settore primario. Quale agricoltura o, meglio, quali agricolture e quali pastorizie? Favorire l’accorpamento, o permettere l’esistenza di un diffuso apparato produttivo? Quale valutazione di qualità (sulla quantità i numeri sono chiari, e non negativi) sulla spesa di ingenti fondi europei dal 2000 ad oggi nel settore?
Quali transizioni realizzare nella prima metà del XXI secolo? Vogliamo realizzare la transizione al biologico dell’intero sistema agro-industriale-alimentare e della pesca, partendo dalla certificazione della terra (di cui guarda caso si potrebbe occupare Agris)? Vogliamo realizzare la transizione all’autosufficienza energetica?
Vogliamo realizzare una verticalizzazione della filiera, con lo sviluppo anche di una maggiore capacità manageriale? Quali prodotti, compresi quelli relativi alla lavorazione/utilizzo sia dei reflui, o la sperimentazione di linee innovative (carne biologica nel settore ovino, con una tendenza alla internazionalizzazione)?
Discussi e stabiliti tali obiettivi, che dovrebbero assumere autorevolezza e condizione in una “Conferenza sullo sviluppo rurale della Sardegna”, si può discutere, in contemporanea, della complessiva riorganizzazione del sistema pubblico agricolo, che è al servizio delle sarde e dei sardi, innanzitutto operatrici ed operatori del settore. C’è bisogno di un organismo pagatore? Se si decide di sì, lo si realizzi autonomo e funzionalmente diverso rispetto a chi istituzionalmente ha il compito di realizzare le istruttorie.
C’è bisogno di un ente pubblico che faccia ricerca in agricoltura? La domanda non è di facile risposta, perché esiste l’università e perché in giro per l’Europa ci sono esempi diversi. Noi pensiamo di sì, e che però bisogna unificare centri di spesa e procedure. E bisogna assumere, altrimenti rimane tutto sulla carta.
C’è bisogno di un ente pubblico che faccia assistenza e animazione per le campagne e per il mondo della pesca? Anche in questo caso il panorama europeo occidentale è vario e variegato. La sparizione dei servizi e la privatizzazione di alcuni di essi, in un tessuto debole e con una difficile situazione bancaria, sarebbe un passo indietro.
2 luglio 2020. Speriamo di non aspettare un altro anno.