I berlusconiani e dei loro alleati (anche quelli virtuali come Matteo Renzi) si stanno stracciando le vesti dopo la diffusione dell'audio del giudice Amedeo Franco. Un modus operandi che ricorda quello seguito nel 1996 dall'ex premier e dai suoi sodali per denunciare l'esistenza di uno scandalo nazionale. Un complotto della magistratura ai danni dell'allora cavaliere, che - ben prima del caso del giudice Franco - sarebbe stato confermato da prove decisive. Solo che per ben due volte alle dichiarazioni roboanti e alle campagne di stampa militari non è seguito nulla
“Abbiamo procure eversive che calpestano l’immunità parlamentare“. Ma non solo: “Questo è un fatto grave, che testimonia il clima torbido di un Paese inquinato da intrighi, manovre, veleni e sospetti”. E ancora: “Si tratta di uno scandalo non inferiore al Watergate“. Addirittura? “Sì, perché qui sono a rischio le libertà fondamentali“. Basta? No, non basta.”Quando si squarcia il sipario, molti episodi possono venire fuori. È finita l’omertà, il muro è crollato e la gente non ha più paura della procura”. Sembrano i lanci freschi freschi di agenzia dei berlusconiani e dei loro alleati (anche quelli virtuali come Matteo Renzi) che si stracciano le vesti dopo la diffusione dell’audio del giudice Amedeo Franco. E in effetti quei virgolettati sono davvero i take di agenzia dei forzisti che gridano al “golpe politico giudiziario“: solo che sono vecchi di più di vent’anni. Risalgono a un periodo compreso tra il 1996 e il 1997: archeologia politico-giudiziaria. Il modus operandi della reazione dei forzisti, pronti a fare quadrato attorno al loro capo, ricorda da vicino quello di oggi.
Bufale e calunnie – All’epoca, nell’Italia che da poco aveva conosciuto la Seconda Repubblica, Berlusconi aveva visto rovinosamente cadere il suo primo governo e poi era stato sconfitto dall’Ulivo di Romano Prodi. Alle difficoltà politiche si erano aggiunte quelle giudiziarie con il processo per le tangenti alla Guardia di Finanza che stava entrando nel vivo. È in quei mesi che per almeno due volte il partito di Arcore scatena le sue milizie parlamentari (all’epoca molto più potenti di quelle di oggi) e quelle mediatiche (rimaste efficientissime) per denunciare l’esistenza di uno scandalo nazionale. Un complotto della magistratura ai danni dell’allora cavaliere, che – ben prima del caso del giudice Franco – sarebbe stato confermato da prove decisive. Solo che per ben due volte alle dichiarazioni roboanti e alle campagne di stampa militari non è seguito nulla. Nella migliore delle ipotesi erano bufale. Nella peggiore calunnie di personaggi dal curriculum oscuro. In qualche caso vicini all’entourage berlusconiano. Ma andiamo con ordine.
Il cimicione delle “procure eversive” – A ricostruire nel dettaglio quei giorni sono stati Peter Gomez, Marco Travaglio e Gianni Barbacetto nel libro Mani Pulite, la vera storia. È l’11 ottobre 1996 quando Berlusconi convoca una conferenza stampa annunciando scottanti rivelazioni. Che rivelazioni? L’ex premier mostra alle telecamere una microspia trovata tre giorni prima dietro al termosifone della sua residenza romana, nella sala dove tiene le riunioni con gli altri leader del Polo delle Libertà. Solo che quella microspia di “micro” ha veramente poco: è grande almeno quanto un paio di grossi accendini e a occhio non sembra tecnologicamente molto avanzata. Neppure per l’epoca. I giornali, maligni, la ribattezzano subito il “cimicione“. Berlusconi, però, è sicurissimo: “Mi spiano – dice – ho trovato una microspia dietro il termosifone del mio studio a Palazzo Grazioli, una cimice perfettamente funzionante, in grado di trasmettere fino a 300 metri di distanza. Abbiamo procure eversive che calpestano l’immunità parlamentare”. Immediatamente si mette in moto la macchina dei comunicati stampa: più o meno come è avvenuto in questi giorni dopo il caso dell’audio del giudice Franco. “Siamo un presenza di un fatto che – se vero- sarebbe gravissimo“, dice oggi Renzi. “È un fatto grave, che testimonia il clima torbido di un Paese inquinato da intrighi, manovre, veleni e sospetti”; diceva ieri D’Alema, candidato presidente della commissione Bicamerale che insieme all’opposizione doveva riscrivere la Costituzione, a cominciare dalla giustizia. E infatti l’allora leader del Pds (In quei mesi Berlusconi lo chiama “l’amico Massimo”) sfrutta l’occasione del “cimicione” per inviare messaggi d’amore al leader dell’opposizione: “Bisogna reagire con fermezza, con un colpo di reni, riscrivendo le regole della convivenza civile e democratica“.
“Lo scandalo non inferiore al Watergate” – Non passano neanche cinque giorni e Luciano Violante convoca la Camera in seduta straordinaria. “Onorevoli colleghi il fatto è davvero grave: un’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione che, da chiunque sia stata ordita, rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, in nessun periodo della storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose”, dice Berlusconi nell’aula di Montecitorio, con toni che sembrano annunciare un golpe imminente. Gli alleati, come sempre, sono più realisti del re: Rocco Buttiglione parla di uno “scandalo non inferiore al Watergate“. Per Lamberto Dini “sono a rischio le libertà fondamentali”. Il tenore è drammatico anche nei ranghi del centrosinistra con Fabio Mussi che invoca un’imprescindibile “riforma dei servizi segreti“, mentre oggi i berlusconiani si accontenterebbero della sempreverde riforma della magistratura con la separazione delle carriere. E se adesso Mariastella Gelmini vorrebbe una commissione d’inchiesta “sull’uso politico della giustizia“, all’epoca era An a chiedere che un organo parlamentare indagasse sul “cimicione”. Diversa la musica nei pressi della Lega. Dopo la diffusione dell’audio col giudice di Cassazione, Matteo Salvini è stato tra i più solidali con l’ex premier. Nel 1996, invece, il Carroccio di Umberto Bossi era in rotta di collissione con l’uomo di Arcore. E infatti Roberto Maroni scherzava davanti a tutti: “Più che una cimice, pare una mozzarella, anzi una bufala“. Parole profetiche.
Una cimice? “No, una bufala” – Nove mesi dopo quell’annuncio di golpe la procura di Roma chiederà l’archiviazione della denuncia per spionaggio politico, interferenza illecita nella vita privata e violazione di domicilio, depositata da Berlusconi. Il motivo? Il procuratore aggiunto Vittorio De Cesare e il sostituto Pietro Saviotti appureranno che la microspia non funzionava da alcuni anni. E soprattutto che a piazzarla a casa Berlusconi non erano state le “procure deviate“, ma l’uomo incaricato di “bonificare” la residenza romana dell’ex cavaliere. Il tecnico si chiamava Paolo Izzi, titolare e direttore tecnico della Sirti service, che negò ogni accusa. “Era il suo primo incarico di quel tipo”, scrissero i giornali all’epoca. A contattarlo era stato Aldo Puri, in quei mesi capo della sicurezza di Berlusconi a Roma. L’indagine venne archiviata e non si capì mai davvero da chi e perché era stata organizzata quella messinscena.
“Fatti sicuri, accertati e gravissimi”- Una situazione simile, ma con un epilogo giudiziario un po’ diverso, si verifica alcuni mesi prima della storia del “cimicione“. Il 16 gennaio del 1996 è la vigilia della prima udienza del processo sulle mazzette della Fininvest alla Guardia di Finanza. È il procedimento noto perché il relativo invito a comparire raggiunse il principale indagato – cioè Berlusconi, in quel momento presidente del consiglio – durante la conferenza Onu di Napoli. Quando comincia il dibattimento il leader di Forza Italia ha già lasciato Palazzo Chigi, e ai giornali rilascia una dichiarazione molto strana: “È finita l’omertà, il muro è crollato e la gente non ha più paura della Procura. Proprio in questi giorni sono venuti a raccontarmi fatti nuovi sul pool di Milano, roba da far accapponare la pelle. Fatti sicuri, accertati, gravissimi, che potrebbero essere denunciati alla magistratura”. Di che cosa sta parlando? “Quando – insiste – si squarcia il sipario, molti episodi possono venire fuori. Io non posso mettermi a fare il delatore, ma molte cose sono state portate a mia conoscenza da chi prima era bloccato dal timore anche cose che erano segrete. Io con queste cose non ci farò niente per il rispetto di quelli che si sono confidati con me. Ma qualcuno sta pensando di raccontare tutto“. Sembra la versione raccontata ai giornali oggi sull’audio di Franco, non diffuso per sette lunghi anni per il rispetto dovuto da Berlusconi al giudice. Almeno finché quest’ultimo era in vita. A cosa si riferisse all’epoca Berlusconi, invece, non è mai stato chiarito.
Strazzeri e Corticchia: calunnie sul pool – Certo è che sette mesi dopo, quando il processo sulle tangenti alla Finanza entra nel vivo, alla procura di Brescia, competente per i reati commessi dai magistrati di Milano, si presentano nel giro di poche settimane – tra settembre e ottobre del 1996 – due ex carabinieri (uno è un baby pensionato, l’altro si è congedato a 27 anni) che hanno lavorato al palazzo di Giustizia di via Freguglia: si chiamano Giovanni Strazzeri e Felice Maria Corticchia. Quello che raccontano, tra fatti che sostengono di aver saputo de relato e presunte testimonianze dirette è semplice: a partire dal 1994 i magistrati del pool di Milano volevano a tutti i costi eliminare (per via giudiziaria ovviamente) Berlusconi. Addirittura persino Antonio Di Pietro lo avrebbe confidato a uno dei due: “Vedi, Strazzeri, dobbiamo impegnarci di più nel lavoro: abbiamo fatto fuori Dc e Psi, adesso dobbiamo far fuori Berlusconi. In questo modo io potrò andare al Governo perché rappresento l’area moderata”. Strazzeri sostiene addirittura di aver saputo da una giornalista di giudiziaria, Renata Fontanelli (che all’epoca lavorava al Manifesto), di una presunta avance sessuale ricevuta dallo stesso Di Pietro. Sempre Strazzeri, davanti ai pm di Brescia, sgancia una vera e propria bomba: “Nel novembre 1994 Di Pietro mi chiese di procurargli un pass per Palazzo Chigi dove avrei dovuto scrivere avvocato Massimo Maria Berruti per il presidente Berlusconi“. Il pass per Palazzo Chigi di Berruti, storico avvocato dell’ex premier e poi deputato azzurro, è la “prova regina” del processo sulle tangenti della Guardia di Finanza: per l’accusa dimostra che Berruti incontrò Berlusconi prima di inquinare le prove mettendo la museruola ad alcuni ufficiali delle Fiamme Gialle coinvolti nell’inchiesta. Fino a quel momento nessuno ne aveva mai messo in dubbio l’evidente autenticità.
“Ho notizie gravi sulle procure” – Il 23 novembre Berlusconi dichiara alle agenzie: “Sono venuto a conoscenza di notizie agghiaccianti riguardanti il prima e il dopo della decisione della Lega (il cosiddetto ribaltone che aveva fatto cadere il suo primo governo ndr). C’è un mosaico con reati penali“. Nessuno conosce ancora il contenuto delle “rivelazioni” dei due ex carabinieri. Il 15 novembre l’ex premier sibila: “Sarà una verità traumatica per tutti gli italiani, anche per la democrazia”. E il giorno dopo ancora torna di nuovo sull’argomento: “Mi riferisco ad altre situazioni. Non devo essere io a intervenire, probabilmente altri ne parleranno. Ma se i magistrati mi ascolteranno, io sarò ben disponibile a parlarne in quella sede”. Finalmente il 29 novembre il leader di Forza Italia annuncia l’intenzione di andare a Brescia pure lui il 12 dicembre: “Ho notizie gravi che getteranno una luce chiara sugli intendimenti e i comportamenti di certe Procure”. Nel frattempo, però, il racconto dei due ex militari – fino a quel momento top secret – aveva cominciato a insospettire gli inquirenti. Prima la procura di Brescia interroga gli altri carabinieri citati da Corticchia e Strazzeri che negano – ovviamente – ogni parola. Poi la giornalista Fontanelli smentisce categoricamente le avance sessuali di Di Pietro. Ma è soprattutto la procura di Milano che scopre il sabotaggio: davanti ai pm del capoluogo lombardo la cronista aggiunge due fatti. Il primo è una proposta ricevuta dallo stesso Corticchia, che a un certo punto le chiede: “Vai a Brescia a dire che Di Pietro ti molestava promettendoti in cambio delle notizie“. In cambio l’ex carabiniere le aveva promesso “facilitazioni professionali e che sarebbe stata assunta dal gruppo Fininvest“. Per conto di chi agiva Corticchia? I carabinieri del Ros guidati dal maggiore Roberto Zuliani ricostruiscono i rapporti tra l’ex militare ed Emilio Fede: i due si conosco da anni ma in quei mesi si sentono più volte al telefono. Ma non solo. Gli investigatori scoprono pure che dopo il congedo l’ex sottoufficiale è diventato benestante: ha comprato una villa a Santo Domingo per 95mila dollari, ha affittato per due milioni di lire al mese un appartamento nel centro di Milano, ha versato in banca più di 250 milioni in contanti. Chi glieli ha dati? E’ il secondo episodio raccontato dalla giornalista Fontanelli: “Nella primavera del 1996 – racconta lei il 10 dicembre – Corticchia si era vantato di essere diventato ricco perché lavorava per il gruppo Berlusconi, che gli aveva offerto la possibilità di pubblicare due libri, gli aveva dato due consulenze e l’aveva aiutato a diventare sceneggiatore”. I libri scritti dall’ex carabiniere, però, non sono esattamente best seller: anzi sono stati pubblicati da piccole case editrici a sue spese. Chi gli ha dato tutti quei soldi dunque? E in cambio di cosa?
Patteggiamenti e prescrizioni – Di sicuro c’è che due giorni dopo l’interrogatorio della giornalista Fontanelli Berlusconi annulla la sua visita in procura a Brescia. Ci andrà solo una settimana dopo e mai citerà le dichiarazioni di Strazzeri e Corticchia. I due ex militari, invece, verranno arrestati il 31 gennaio del 1997: l’inchiesta viene presto dimenticata dai giornali e lasciata a languire nel palazzo di giustizia di Brescia. Poi due anni dopo, il 22 settembre del 1999, comincia il processo: le parti civili – cioè i pm del pool di Milano – citano pure Berlusconi come testimone. Sotto interrogatorio l’ex premier avrebbe avuto l’obbligo di dire la verità. Il difensore di Corticchia, l’avvocato Michele Saponara, deputato di Forza Italia e in seguito sottosegretario all’Interno e membro del Csm, tira fuori dal cilindro una mossa a sopresa: chiede e ottiene il patteggiamento. Il suo cliente si accorda con 1 anno e 9 mesi, a Strazzeri vanno 1 anno e 8 mesi. Pene tutto sommato miti per calunnia. E che soprattutto evitano qualsiasi processo pubblico, con annesso il rischio per il leader di Forza Italia di dover andare a deporre. Ma che lasciano insolute due domande: chi manovrava Corticchia e Strazzeri? Chi li inviò a calunniare i magistrati di Milano, cercando di distruggere – tra le altre cose – il processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza? È mai possibile che i due abbiano agito da soli? Non si sa e non si saprà mai. Quello che si sa è che nel 2001 Corticchia è stato assunto come consulente per la sicurezza della Fiera di Milano, entre in quel momento guidato dal centrodestra. Lo stipendio? Settanta milioni di lire all’anno. Non male per un ex carabiniere condannato per calunnia. Nel processo per le tangenti alla Guardia di Finanza, invece, Berlusconi sarà condannato in primo grado, prescritto in secondo e assolto in Cassazione. Uno dei testimoni che avrebbe potuto fornire delle prove a suo carico era David Mills. Che poi scriverà al suo commercialista: “La mia testimonianza aveva tenuto Mr B. fuori da un mare di guai in cui l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo”. Quella letterà finirà agli atti del processo di Mills, condannato in primo e secondo grado, e poi prescritto in Cassazione dall’accusa di essere stato corrotto con 600mila dollari dallo stesso Berlusconi (che per quei fatti incasserà la prescrizione già in primo grado). Chissà: magari pure questa vicenda potrebbe diventare oggetto d’indagine della commissione d’inchiesta chiesta dalla Gelmini. Quella “sull’uso politico della giustizia“. O forse no.