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di Carmelo Zaccaria
Nel dramma in versi di Goethe troviamo il vecchio Faust che irrompe nel grande giro della corte imperiale con la funzione di tesoriere, complice il diavolo Mefistofele. Il Regno è oppresso da una disastrosa situazione finanziaria, preda di tumulti e saccheggi, tanto che l’imperatore non sapendo più che pesci prendere, per risollevarne le sorti, convoca un Consiglio di Stato invitando i più alti dignitari di corte. Per di più, trovandosi nel periodo di Carnevale, acconsente allo svolgimento del corteo in maschera con l’intento di alleviare l’angoscia e le privazioni dei propri sudditi.
Sfilano dunque cocchi luccicanti di oro con sopra grottesche figure mitologiche, fauni e satiri danzanti, gnomi e giganti vestiti con giubbe di Pulcinella, carri ricoperti di scrigni stracolmi di gemme e gioielli che scivolano tra i piedi del popolo festante la cui ingordigia è così incontenibile da non accorgersi che tutto quel prezioso luccichio non è altro che un inganno demoniaco.
Proprio Mefistofele, travestito da buffone di corte, sul finire della mascherata, compie il miracolo tanto atteso facendo comparire una spropositata abbondanza di banconote con tanto di effige e firma dell’Imperatore. Il Regno dunque è salvo dall’immane catastrofe per l’opera geniale del diavolo. Piovono soldi a pioggia, vengono saldati tutti i conti, pagati i soldati, riempite le osterie e le cantine di vino. Si riprende la gozzoviglia dei bei tempi, ritorna l’allegria, qualcuno corre a comprare collane e anelli all’innamorata, qualcun altro declama beato “Berrò doppio e meglio!”.
All’orecchio dell’Imperatore giungono solo lusinghe e richieste di intercessione, nessuna idea prodigiosa, nessun progetto audace in grado di ricostituire al più presto l’antico splendore del regno. Per cui, disilluso e amareggiato, non gli rimane che ammettere “…chi vi conosce v’indovina facilmente. Vedo bene che in mezzo a questa fioritura di tesori, rimanete quelli di prima, quel che siete sempre stati”.
Non è dunque bastata la convocazione del Gran Consiglio per invertire la logica egoistica degli interessi particolari sui bisogni generali. Cosa che purtroppo non c’era da aspettarsi neanche dagli Stati Generali appena conclusi. Un profilo di summit che avrebbe dovuto essere superlativo si è rivelato piuttosto elusivo e rinunciatario, inquinato dalla logica dei pesi e contrappesi.
Alla kermesse, del resto, sono convenuti gli stessi “medici e sapienti” che il sistema l’hanno costruito e puntellato con una forza e una dedizione inappuntabili, quelli che da sempre controllano e indirizzano le scelte verso obiettivi sempre più lacunosi e improduttivi, che considerano la politica del libero mercato come imprescindibile baluardo di ogni progresso sociale, e che, pur criticandola, a volte anche aspramente, pur avvertendola come un meccanismo generatore di ingiustizia sociale e disuguaglianze, non sono tuttavia disponibili a disegnare un modello di sviluppo meno vulnerabile e più equo.
Tutto diventa complicato se non cambia lo schema dialettico dentro cui impostare le grandi sfide economiche del futuro, se non si sottrae l’utilizzo di denaro pubblico dai tentacoli ingordi di pochi individui, se non si riflette sull’idea di capitalismo meno succube del profitto immediato. Jan Zielonka, nel libro Contro-rivoluzione, ha evidenziato le gravi responsabilità del modello liberale riguardo al dilagare delle ineguaglianze e alla conseguente dispersione della coesione sociale, invitando a riflettere se la modestia dei risultati ottenuti in questi decenni delle idee liberiste sin qui propugnate siano davvero attrezzate per l’era digitale, per l’economia globale e il cambiamento climatico.
Di certo la loro inadeguatezza non impedirà la crescita di nuove disillusioni. Allora, per contrastare la nascita di nuovi progetti antiliberali, fomentati dalla crisi pandemica in corso, non basterà neppure il ricorso alla mente ingegnosa e astuta del demonio.