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di Maurizio Donini
La crisi del 2008, quella che per semplificare viene additata come “Lehman Brothers”, era stata considerata per certi versi persino peggiore del ’29, in particolare per l’onda lunga che ha comportato. Stranamente i danni conseguenti all’emergenza Covid-19 paiono avere una percezione attenuata nell’opinione pubblica e anche in certi strati della politica;i motivi sono diversi.
La crisi del 2008 portò a una caduta del Pil del 2,2%, in una situazione tutto sommato stabile e persino positiva. Il coronavirus si è abbattuto su un’economia che ha visto l’Italia scendere dai fasti del 2017 sempre più in basso, a un grigio 2018 è seguito un 2019 in caduta libera, toccando la zona negativa nel quarto trimestre a -0,2%. Quindi la crisi è arrivata in una Italia già in recessione, questo è il punto di partenza; il lockdown ha fatto il resto.
Lo storico delle crisi economiche dovute a pandemie – sono tre quelle riconosciute tali dall’Oms – indica che il secondo anno c’è un forte recupero rispetto la caduta del primo, e tutto viene riassorbito nel terzo; ma bisogna arrivarci. Per fortuna l’Europa ha stanziato grandi risorse finanziarie, dalla Bce alla Bei al Fondo Sure, e il governo ha messo in atto un paracadute sociale esteso tra bonus e aiuti alle imprese, anche se qui ci sarebbero molti punti di cui discutere.
Le prime valutazioni del governo contavano un -8,9%, ma già i maggiori think tank chiamavano circa il -13%, poi il governo ha aggiustato a un -12,4%, mentre le analisi definitive di Fmi e Ocse dicono 13,9% (la Cina -3,9%); ricordiamo che il disastro 2008 disse un -2,2%. Tutto questo appare scontrarsi con le immagini della riapertura piene di movida e spiagge affollate, ma il peggio arriverà in autunno e probabilmente solo gli analisti se ne rendono conto.
Chiaro che pensionati e statali non hanno avuto danni dalla crisi, così come alcune fasce di lavoratori, ma le aziende hanno gravi crisi di liquidità e portafogli, ordini vuoti e i consumi non decollano. Personalmente ho verificato Venezia e Firenze nei weekend, un deserto, fatto che corrisponde a un interessante studio recente che ha analizzato i consumi delle categorie più abbienti.
Partendo dai cap relativi alle spese registrate si è visto come i quartili più ricchi (abitanti dei quartieri più benestanti) abbiano calato le loro spese del 34% contro il -17% dei quartili popolari. In sintesi, chi ha possibilità di spesa non compra, chi ha problemi di bilancio famigliare mette da parte – i depositi degli italiani sono cresciuti nel primo trimestre 2020.
L’ultimo report che ci ha mostrato l’Ocse segna alcuni spunti interessanti, sempre confrontando con il 2008: allora la crisi fu finanziaria, in questo caso è sanitaria. Altro dato sostanziale è l’estensione globale della crisi con l’interruzione delle catene di produzione a livello mondiale: il Wto calcola un -30% di incidenza sul calo del Pil solo per questo motivo (l’Europa stima 9,8%).
Stimando che se non si risolve la crisi sanitaria (i paesi del Terzo mondo soffrono particolarmente proprio per la scarsità dei solo Ssn), è chiaro che non si può concretamente affrontare quella economica. Ora: è logico rifiutare il Mes, che per buona pace di tutti gli scettici è privo di condizioni ex-ante e ex-post a parte la destinazione? Oltretutto questo offre il fianco ai “paesi frugali” per dire che evidentemente l’Italia non ha bisogno di soldi e si riallacciano al discorso Recovery Fund (Next Generation Eu).
Qui è doveroso spendere due parole sui 173 miliardi previsti per l’Italia, di cui 84 a fondo perduto: le cose non stanno così in effetti. La Ue non ha fondi propri, tutti i 1200 miliardi saranno approvvigionati sul mercato emettendo Btp, questi andranno rifusi dagli stati membri per quota parte. L’Italia concorre per il 13%: dovrà quindi restituire (tramite nuove tasse o tagli di spesa) circa 67 miliardi (il 13% dei 500 previsti a fondo perduto), quindi il saldo a nostro favore sarà 84-67, meno di 20 miliardi, una media finanziaria insomma.