L'ex difensore della nazionale azzurra e dell'Inter ha ricordato le sensazione di quella giornata, la delusione, l'amarezza. Racconta anche l'atteggiamento del San Paolo e le provocazioni degli argentini nei confronti di tutti i giocatori di Vicini: "Durante il lockdown ho rivisto tutte le gare di quel Mondiale, dato che le hanno trasmesse in tv, e la delusione è sempre la stessa"
Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)
Julio Olarticoechea riceve palla al limite dell’area di rigore italiana. Stoppa col destro, alza la testa, la mette in mezzo. Walter Zenga sbaglia il tempo dell’uscita e il pallone finisce sulla testa di Claudio Caniggia. L’attaccante può solo spizzare la sfera che rimbalza sulla linea di porta e accarezza il sacco. Tutto dura più o meno cinque secondi. Quanto basta per trasformare un sogno in un incubo. Il 3 luglio del 1990 l’Italia affronta l’Argentina nella semifinale del Mondiale. Si gioca a Napoli, davanti a un pubblico che non riesce a rinnegare il suo amore per Maradona. Schillaci porta in vantaggio gli azzurri al 17’, poi la bionda punta dell’Atalanta pareggia 50’ più tardi. È il primo gol subito dagli Azzurri in tutto il Mondiale, ma è comunque sufficiente a portare la partita prima ai supplementari e poi ai rigori. È un’altra serata di gloria per Goycoechea, il portiere di riserva che dopo aver mandato in frantumi il sogno della Jugoslavia riesce a eliminare anche l’Italia. Una favola senza lieto fine, una partita entrata comunque nella storia. E così, a trent’anni di distanza, ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con Riccardo Ferri, uno dei grandi protagonisti di quella squadra che ha fatto emozionare un Paese intero ma che si è fermata a undici metri dalla gloria.
Ferri, purtroppo bisogna chiederle della semifinale persa ai rigori contro l’Argentina
Ecco, la partita che mi ha tolto il sonno negli ultimi giorni. Durante il lockdown ho rivisto tutte le gare di quel Mondiale, dato che le hanno trasmesse in tv, e la delusione è sempre la stessa.
Cross dalla destra della nostra area di rigore, lei si gira e vede la palla in rete. La prima cosa che ha pensato?
Intanto diciamo che è stato il primo gol che abbiamo subito durante tutto il Mondiale. È stata una doccia fredda perché stavamo facendo bene. Il pensiero negativo c’è stato, ma è durato pochi secondi. Poi abbiamo subito ricominciato a cercare il gol, c’era in noi la convinzione di poter recuperare questo errore. Abbiamo cercato di reagire perché eravamo davvero convinti che saremmo tornati in vantaggio.
Alla vigilia Maradona disse che i napoletani non venivano considerati italiani 364 giorni l’anno, quindi non avrebbero dovuto tifare per gli Azzurri. Giocare a Napoli, con un tifo incerto, è stato davvero un fattore come si dice?
Quando siamo arrivati al San Paolo abbiamo notato una piccola spaccatura nel tifo, con una piccola frangia che sembrava supportare l’Argentina. Non era una sensazione equiparabile a quella dell’Olimpico. Non voglio dire che i tifosi napoletani sono stati meno calorosi, ma è anche vero che Maradona aveva un ascendente molto particolare. E questo si è visto anche in campo.
Il mancato sostegno del pubblico è stato un problema, dunque.
No, io non voglio dare la colpa ai tifosi. Spesso si dice che una partita viene decisa da un episodio. Ecco, questo è uno dei casi più clamorosi di partita decisa da un episodio, nato fra l’altro da una situazione molto particolare. È lì che si è deciso il nostro Mondiale.
È vero che argentini hanno provato a distrarre Zenga per tutta la partita urlando “italiano, spaghetti”?
Gli argentini che componevano quella nazionale erano dei grandi provocatori. Tanto quelli che giocavano quanto quelli che erano fuori. Oscar Ruggeri lanciò addirittura una borraccia piena d’acqua addosso a Rocca. Se fosse successo oggi non avrebbe potuto continuare la gara. Loro ci conoscevano, sapevano che avevamo dei caratteri infiammabili, così hanno iniziato a provocare Walter, me e gli altri.
A lei cosa è toccato?
Ma no niente di grave, cose classiche sulla mamma, la nonna, la moglie. Quello però era il frutto della loro strategia che voleva snaturare le situazioni di campo. Avevano paura di affrontare una squadra forte.
D’altra parte lei e Baresi avete neutralizzato Maradona.
Ma anche Bergomi e Maldini, la nostra difesa era considerata la più forte del mondo. La stampa italiana ha cercato di trovare il pelo nell’uovo ma in quel Mondiale non c’è stata alcuna sbavatura. Per tutta la semifinale Maradona è sembrato un giocatore normale. Gli abbiamo tolto il fiato, non l’abbiamo fatto ragionare, non gli abbiamo dato l’opportunità di alzare la testa o di partire in velocità. Avevamo la fortuna di conoscerlo bene, visto che lo avevamo già marcato in campionato. Certo, se sta bene Maradona non può essere marcato da nessuno al mondo, ma in quell’occasione era un po’ ridimensionato da qualche problema fisico.
Dopo il gol di Caniggia avete attaccato senza fortuna.
Abbiamo giocato i supplementari per fare gol e loro sono cresciuti perché noi eravamo un po’ stanchi, non abbiamo avuto la stessa forza per ripartire. Siamo mancati un po’ sotto l’aspetto delle energie, ma era normale visto che il Mondiale si giocava in casa nostra e abbiamo speso molto dal punto di vista fisico ma anche mentale.
Dopo l’ottavo contro l’Uruguay Zenga aveva detto “Non paro un rigore da 20 anni, sono un disastro”. Avevate paura di finire ai rigori?
Noi no e neanche lui. Queste cose sono molto personali, ognuno le vive in base alle proprie esperienze. Walter voleva essere decisivo per la squadra anche nella cosa che gli riusciva meno. E noi speravamo che potesse parare magari 2 o 3 rigori diventando l’eroe della squadra.
Uno l’ha quasi preso
Appunto, quasi.
Dopo avete parlato con Zenga di quell’uscita a vuoto?
No, nessuno ha detto niente. Quando sei un professionista e giochi in una squadra ci sono due elementi fondamentali: appartenenza e condivisione. Il calcio è fatto di episodi, non ha senso indicare un compagno per una sconfitta. Se così fosse avremmo dovuto prendercela con Serena e Donadoni che hanno sbagliato ai rigori. Invece il primo istinto di tutti è stato andare ad abbracciare Walter.
Però, ingiustamente, quel gol ha pesato molto sulla sua carriera di un portiere eccezionale.
Sono trent’anni che incontro gente che mi ferma e mi chiede: ma su quel gol hai sbagliato tu o ha sbagliato Zenga? Il fatto è che Caniggia non ha neanche tirato in porta, ha solo provato a spizzare quel pallone. Io non potevo intervenire altrimenti avrei provocato un rigore, così ho provato a saltare per fargli perdere la coordinazione. È stato davvero un caso.
Quella squadra aveva il portiere più forte del mondo, la difesa più forte del mondo e almeno uno degli attaccanti più forti del mondo. Cosa è mancato per vincere il Mondiale?
Solitamente non mi appoggio mai alla sfortuna per giustificare un insuccesso, ma qui calza a pennello. Il fatto di aver preso un solo gol ai Mondiali ed essere stati eliminati ai rigori è un po’ l’immagine di quello che siamo riusciti a fare. Per tirare in porta gli avversari dovevano sudare sette camicie. Ma davanti a una difesa straordinaria c’erano altro sei uomini che facevano le due fasi in maniera perfetta, che si sacrificavano in difesa. Avevamo dei centrocampisti che difendevano e accompagnavano l’azione, eravamo una squadra proiettata nel futuro.
Merito anche del lavoro di Vicini, bravo a mantenere compatto un gruppo che poteva esplodere.
Vicini è stato un collante straordinario non solo a Italia 90, ma già ai tempi dell’Under 21, che ha forgiato il gruppo che poi è stato promosso in Nazionale. Abbiamo espresso un calcio di qualità anche se non siamo riusciti a concretizzare portando a casa risultati importanti. L’idea di giocare un Mondiale in casa era anche una responsabilità. Sapevamo di avere gli occhi del mondo addosso. Ricordo ancora il discorso del capodelegazione Boniperti: ci disse che dovevamo essere un esempio per i giusti comportamenti in campo e fuori e che l’obiettivo era far bene. Ci siamo riusciti.
Dopo una sconfitta che sembra una beffa, come si affronta una partita che vale il terzo posto?
Quella finale l’abbiamo giocata sottoritmo, non è stata una partita sentita. Era ancora viva la voglia di giocare la finale vera, ma era giusto anche chiudere senza perdere. Vicini ha fatto turnover, dando spazio a chi aveva giocato meno.
Il suo Mondiale è stato quasi perfetto. Il ricordo che si porta dietro?
Il periodo che abbiamo trascorso nel ritiro di Marino. Ogni partita era una finale e ogni volta che prendevamo il pullman vedevamo quel pubblico stupendo. Senza dimenticare l’Olimpico, che ogni volta ci accoglieva on maniera straordinaria. Era davvero il dodicesimo uomo in campo.