Sono state confermate dalla Cassazione le condanne per Alfredo ed Enrico Di Silvio, nipote e nonno appartenenti all’omonimo clan, per il raid punitivo avvenuto al Roxy bar in zona Romanina, a Roma, il giorno di Pasqua 2018. I due avevano malmenato il gestore del locale, insultato la moglie di origini rumene e preso a cinghiate pure una cliente disabile. Tutto perché non erano stati serviti per primi. Dovranno scontare rispettivamente 4 anni e 10 mesi e 3 anni e 2 mesi di reclusione.

Il verdetto è stato emesso dagli ermellini della Seconda sezione penale. Con loro, in appello, era stato condannato a 4 anni e 8 mesi anche Vincenzo Di Silvio, fratello di Alfredo, che però non ha fatto ricorso alla Suprema Corte. Per tutti è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa. Al raid ha partecipato pure il cugino Antonio Casamonica, condannato a 6 anni di reclusione dalla corte di Appello di Roma per concorso in lesioni, violenza privata e minacce. Su di lui la Cassazione si esprimerà il prossimo 10 settembre.

I quattro sono stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza durante l’aggressione. Prima hanno colpito la donna disabile per punirla di aver reagito, poi Alfredo e Vincenzo di Silvio hanno picchiato Marian Roman, il gestore del Roxy bar, danneggiando tutto il locale. Ma le violenze non si sono fermate lì. Nei giorni seguenti, Alfredo e la madre Ivana Casamonica hanno tentato di parlare con Roman mentre era ancora ricoverato in ospedale per le lesioni, mentre l’anziano Enrico è tornato al bar offrendosi di risarcire i danni. Di fronte al rifiuto dei gestori, l’ennesima minaccia: Allora volete la guerra”. Il 28 aprile 2018 anche la moglie del titolare del bar, Roxana Roman, ha denunciato ulteriori intimidazioni da parte degli esponenti del clan.

Con la sua sentenza, la Cassazione mette la parola fine alla vicenda. In un comunicato rilasciato nelle stesse ore ne approfitta per precisare anche un’indiscrezione di stampa pubblicata sul sito del quotidiano La Repubblica. Nell’articolo si menzionava il rischio che Vincenzo Di Silvio potesse ottenere la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Un presunto “pasticcio” che però viene respinto dalla Suprema Corte: “Le circostanze riferite nell’articolo risultano prive di fondamento“, si legge nel comunicato, visto che l’imputato non ha fatto appello in Cassazione e la sentenza di condanna pronunciata dalla corte d’Appello di Roma “è divenuta irrevocabile a partire dal 21 settembre 2019”.

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