Manca meno di un anno alle prossime elezioni comunali di Roma e già si profila la serie di déjà vu che comprende l’”ascolto dei cittadini”, i “tavoli con i comitati”, le “iniziative sui territori”, compresi quelli dove da tempo nessuno mette piede. E un programma elettorale per lo più copiato e incollato da quelli delle elezioni precedenti, fatto di “mobilità sostenibile”, “rigenerazione urbana”, “rilancio delle periferie” ecc.

Molti cittadini ci cascano ancora e si presentano speranzosi ai candidati con la lista di vertenze e proposte, anche questa ricopiata da innumerevoli tornate elettorali. Ma la stragrande maggioranza dei romani è sempre più lontana dalla politica – nel senso sia di “classe politica” che di “impegno per migliorare” – e, se va a votare, spesso sceglie senza sapere chi sia il candidato e cosa proponga concretamente il partito.

Partiti che continuano a promettere il “cambiamento” in una città che ne ha viste di tutti i colori, non solo politici. Decenni di problemi strutturali mai risolti e di progetti interrotti; un concentrato di potentati e categorie di ogni genere capaci di piegare ogni buona intenzione ai propri interessi; avvicendamenti di partiti e movimenti che finiscono con il “tirare a campare”, più impegnati a gestire il consenso che a governare (o a fare opposizione).

E Pd e M5S, due forze politiche che si collocano “dalla parte dei cittadini”, pur nella notevole diversità, sono assai simili nel non aver saputo costruire un autentico dibattito con la comunità cittadina.

Il MoVimento ha perso per strada buona parte del variegato mondo di attivisti impegnati nei territori, preferendo gestire il rapporto con la propria base solo attraverso il web, secondo il modello nazionale. Escludendo quindi il dialogo con il proprio elettorato a favore di quello con un numero limitato di iscritti – nel 2016, per la scelta del candidato sindaco, parteciparono alla votazione on line 3.272 iscritti residenti a Roma su più di novemila, Virginia Raggi fu scelta con 1.764 voti – , privilegiando il rapporto individuale a scapito del confronto collettivo, dentro e fuori il M5S, salutare per la crescita di ogni movimento. Dopo la conquista del Campidoglio sono stati abbandonati i tavoli di attivisti che avevano lavorato sul programma, e si è andato rarefacendo il rapporto tra Giunta e Assemblea Capitolina e i “portavoce” eletti nei Municipi, sempre più in difficoltà nei territori e spesso in disaccordo tra loro, tanto che in questi anni sono stati persi dal M5S ben 4 Municipi.

Anche il Partito Democratico, erede di una consistente rete di circoli attivi nella Capitale, con l’eccezione di alcuni consiglieri municipali che lavorano con continuità e impegno, ha perso da tempo il contatto con la cittadinanza, soprattutto nei Municipi più periferici dove si trova all’opposizione. Continuano le attività nelle sedi rimaste, frequentate per lo più da una ristretta cerchia di militanti, mentre sono spesso sottoutilizzati gli strumenti web, forse anche a causa del digital divide generazionale. Ma soprattutto il confronto interno ed esterno del Partito sembra da tempo anestetizzato da una serie di rimozioni collettive.

Archiviata la sconfitta annunciata del candidato Roberto Giachetti insieme al devastante commissariamento del Partito e all’indagine #MappailPD di Fabrizio Barca, che esattamente 5 anni fa non esitò a definire “dannosi e autoreferenziali” molti circoli della Capitale; mai affrontato un dibattito sulla brusca fine della consigliatura Ignazio Marino, né sulle vicende del “Mondo di mezzo”, e, ancora prima, sulla clamorosa vittoria della destra dopo 15 anni di centrosinistra, proprio in quelle periferie dove in pochi – compresi i partiti della “sinistra sinistra”, si avventurano fuori dalle campagne elettorali.

Almeno il Pd ha continuato a mantenere un rapporto diretto con il proprio elettorato attraverso le primarie, che non sono la panacea del confronto democratico, ma ne sono il presupposto indispensabile. Le primarie di schieramento nel 2013 portarono ai gazebo 100.000 votanti, dimezzatisi nel 2016, forse anche per le recenti vicende capitoline, ma pur sempre un segnale di vitalità da preservare.

Oggi si ricomincia un’altra volta da capo: siamo di nuovo al “totonomi” per il candidato sindaco del centrosinistra, con il rischio di un personaggio calato dall’alto in base ad accordi tra vertici di partito, senza primarie, e alle giravolte del M5S per superare la regola del limite dei due mandati, e rimettere in pista la sindaca uscente, consacrata dal voto online di una manciata di iscritti.

Resta la flebile speranza che i due schieramenti si lascino alle spalle patti, sondaggi e marketing, per aprire finalmente un dibattito sul futuro di Roma, e un vero confronto tra candidati, lontano dalle segrete stanze reali e virtuali. Per dare luce a una città che non riesce a uscire dalle sue tante ombre.

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