“La quarantena? Non ne so niente. E non la faccio”. Adriana è appena arrivata a Fiumicino da Lisbona. Solo formalmente. In realtà in Portogallo ci ha fatto solo lo scalo, arrivando a sua volta da San Paolo del Brasile, capoluogo di una delle regioni in questo momento più colpite al mondo dall’epidemia Covid. A ilfattoquotidiano.it, appena sbarcata, dice che “io sono qui in vacanza, non ci penso proprio a passare 15 giorni in albergo”.
Alla partenza le avevano fatto compilare un modulo da consegnare alla compagnia aerea: partenza, destinazione, motivo del viaggio. Ma più volte le autorità sanitarie italiane hanno lamentato le difficoltà di comunicazione con i vettori: “Tutti quei pezzi di carta, chissà che fine fanno…”, il commento più educato. E la presenza di uno scalo comunitario non aiuta: chi arriva dall’Ue non ha l’obbligo di fare la quarantena. Figuriamoci se poi ai termoscanner risulta una temperatura “a norma”.
“Io la quarantena non la faccio, se avrò sintomi avvertirò il mio medico”, dice Franco, sui 50 anni, tornato a Roma insieme alla moglie brasiliana: “C’è troppo allarmismo nel nostro Paese – sostiene – in Brasile c’è Bolsonaro che non si è lasciato spaventare e non ha compromesso l’economia come abbiamo fatto noi”. Peccato che dopo quattro mesi di epidemia, il Brasile sia ancora uno dei Paesi più colpiti al mondo.
Hanno “eluso” i controlli – loro malgrado – anche Maurizio e Laura, una coppia con figli che ha passato 20 giorni in vacanza a Miami. La Florida è un altro posto in cui il Covid sta ancora mietendo vittime su vittime. E i voli dagli Stati Uniti verso l’Italia sono bloccati. Come hanno fatto a tornare a casa? Semplice, sono partiti da Miami con la United Airlines verso Francoforte (con primo scalo a Chicago); poi dalla Germania si sono imbarcati su un volo Lufthansa e hanno raggiunto Roma. Formalmente non sarebbero obbligati a fare la quarantena, la loro Asl di riferimento (probabilmente) non li contatterà. Ma loro mostrano disponibilità alla responsabilità: “Faremo la quarantena – spiega Laura – non vogliamo mettere nessuno a rischio. Dove siamo stati noi ci sono stati tantissimi casi, la situazione è molto grave”.
Quello dei voli comunitari è un punto interrogativo. Un perimetro in cui sono inseriti anche Regno Unito e Svizzera. E proprio da Londra – dove l’emergenza non è ancora del tutto rientrata – ci sono stati alcuni casi di “importazione” nella città di Roma. Come detto, non c’e’ obbligo di isolamento fiduciario. Ma anche le autocertificazioni restano negli zaini. “Nessuno me l’ha chiesta”, dice una donna, proveniente da Budapest via Vienna. Stessa cosa due ragazzi rientranti a Cagliari da Madrid e un’altra coppia che tornava da Amsterdam. “Io non sapevo nemmeno dovesse essere compilata”, dice Luigi, tornato dopo quattro mesi da Barcellona per rivedere la sua famiglia residente a Campobasso: “L’aeroporto di Barcellona era spettrale, qui ho trovato i negozi aperti, c’è voglia di ricominciare e mi fa piacere”.
A fine giornata, ecco arrivare due voli diretti, uno da Dakar, Senegal e l’altro da Delhi, India, due mete “a rischio” perché in zone del mondo dove i dati sui contagi non sono del tutto affidabili. Pochi i passeggeri, per lo più italiani di rientro per lavoro e persone che arrivano in Italia per impieghi stagionali. Le “categorie” maggiormente attenzionate in questi giorni. “Ho raggiunto mio cugino per lavorare in uno stabilimento balneare in Calabria”, dice in inglese Ibrahim, sbarcato dal volo da Dakar: “Domani attacco a lavorare”. Gli diciamo che dovrebbe fare la quarantena. Lui risponde, non troppo convinto: “Si, la farò”. Stessa cosa un ragazzo bangladese, arrivato da Delhi. Lui parla abbastanza bene l’italiano: “Mio cugino vive a Tor Pignattara. Ha un ristorante al centro di Roma, mi fa lavorare. Io faccio avanti e indietro. Domani comincio”.