Silenzio assenso da parte dell’Unione europea sullo schema di decreto nazionale interministeriale che, una volta operativo, renderà obbligatoria l’indicazione dell’origine delle carni suine nei prodotti trasformati, come i salumi. Sono scaduti i tre mesi dalla data di notifica, avvenuta a dicembre 2019, del provvedimento alla Commissione europea, trascorsi i quali, secondo la procedura indicata nel regolamento Ue 1169/2011, il provvedimento può essere applicato sul territorio nazionale, purché non sia stato inviato in questi novanta giorni un parere negativo da parte della stessa Commissione. Cosa che non è avvenuta, dando così il via libera al testo che è già alla firma dei ministri delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, e della Salute, Roberto Speranza. “Firmiamo un decreto importante che sono convinta possa aiutare tutta la filiera suinicola a valorizzare le produzioni 100% italiane”, ha dichiarato la ministra Bellanova ricordando che il settore “ha fortemente risentito della crisi causata dalla pandemia e dalla chiusura dell’Horeca”.
L’OBBLIGO DI INDICAZIONE DI ORIGINE – La firma del decreto che rende obbligatoria l’indicazione dell’origine delle carni trasformate è un ulteriore step compiuto dall’Italia, dopo quelli sul pomodoro, la pasta e il riso. “Un passo – ha sottolineato il ministro Patuanelli – che ci pone all’avanguardia in Europa dove è sempre più necessario procedere con l’attuazione della Strategia Farm to Fork”. Il testo prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette le seguenti informazioni: Paese di nascita degli animali, Paese di allevamento, Paese di macellazione. Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso Paese, l’indicazione dell’origine può apparire nella forma ‘Origine: (nome del Paese)’. La dicitura ‘100% italiano’ è utilizzabile dunque solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia.
UN SOSTEGNO A 5MILA ALLEVAMENTI IN GINOCCHIO – Una novità importante, sottolinea Coldiretti, per garantire trasparenza nelle scelte di 35 milioni di italiani che almeno qualche volta a settimana portano in tavola salumi “ma anche per sostenere i 5mila allevamenti nazionali di maiali messi in ginocchio dalla pandemia e dalla concorrenza sleale, per salvare il prestigioso settore della norcineria che in Italia, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi”. Secondo un’analisi Coldiretti, dall’inizio dell’emergenza sanitaria le quotazioni dei maiali italiani si sono quasi dimezzate, scendendo a poco più di un euro al chilo, “mettendo a rischio le imprese e, con esse, la prestigiosa norcineria Made in Italy a partire dai 12,5 milioni di prosciutti a denominazione di origine protetta (Dop) Parma e San Daniele prodotti in Italia”.
TRE PROSCIUTTI SU QUATTRO OTTENUTI DA CARNI STRANIERE – A preoccupare è l’invasione di cosce dall’estero “per una quantità media di 56 milioni di pezzi che ogni anno si riversano nel nostro Paese per ottenere prosciutti da spacciare come Made in Italy”. Si stima, infatti, che tre prosciutti su quattro venduti in Italia siano in realtà ottenuti da carni straniere senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta. “Cosce provenienti in larga parte – denuncia Coldiretti – dai grandi mattatoi dei paesi del Nord, come ad esempio la struttura di Rheda-Wiedenbrück, nel distretto di Gütersloh, nel NordReno-Westfalia, balzata all’attenzione delle cronache perché più di 1.550 lavoratori sono risultati positivi ai test per il Covid-19”.