Combattivi, fuori linea, anticonformisti, antagonisti, rivoluzionari. Ribelli che a distanza di sessant’anni si sono rivelati, passo dopo passo, conquista dopo conquista, visionari; eresie diventate profezie, salite – un gradino sopra l’altro – dalle chiese di campagna e di periferia fino al soglio di Pietro, dall’abito nero e impolverato dei preti esiliati, confinati, a quello bianco di Papa Francesco. Sono i Folli di Dio: da don Lorenzo Milani a Giorgio La Pira, il sindaco santo, da padre David Turoldo a padre Ernesto Balducci e poi ancora don Giulio Facibeni e don Renzo Fanfani fino al cardinale antifascista Elio Dalla Costa. La loro storia, le loro parole, le loro azioni hanno spalancato sul mondo le porte e le finestre dei sacri palazzi molto prima che lo facesse il Concilio Vaticano II. Sempre da una parte sola: dei più umili, dei poveri, degli operai, contro le ingiustizie sociali, contro un’economia “senza il soffio del Vangelo”. Un grido che ha attraversato i decenni, le bolle del Sant’Uffizio, le guerre delle gerarchie vaticane e ora è diventata la via della Chiesa di Francesco: tutto questo finisce ora in un libro di Mario Lancisi, giornalista e scrittore fiorentino, per trent’anni inviato del Tirreno e uno dei massimi esperti della storia di don Lorenzo.
I folli di Dio (Edizioni San Paolo, 224 pp, 18 euro) non è un compendio delle biografie di questi uomini che vollero aprire la Chiesa al mondo per metterla al servizio dei più bisognosi. Lancisi mette subito le carte in tavola: la sua è “una ricostruzione ragionevole e ragionata, anche se frammentaria e parziale, di quel mondo”. “L’ambizione” è quella di un racconto, continua Lancisi, “in cui la passione per Dio e per l’uomo, cielo e terra, si intreccino e si fondano nella ‘follia’ di un’umanità senza aggettivi, bandiere, ideologie e patrie. Un racconto in cui il cristiano si sente figlio di Dio e conseguentemente fratello di tutti gli uomini”. E’ così che – spiega Lancisi – Barbiana, il vangelo di Milani fatto di gesti e opere, con Papa Bergoglio “da pietra scartata dai costruttori in pietra d’angolo della Chiesa del futuro”, “da parrocchia di campagna in via di chiusura, da Siberia ecclesiastica” si ritrova a essere trasformata “nel centro della Chiesa”, immortalata dalla preghiera che il Papa arrivato dall’altro mondo pronunciò nel 2017 sulla tomba di don Lorenzo. “Pregate – disse – perché anche io prenda esempio da lui“.
Per questo Lancisi descrive queste piccole grandi storie di preti, frati, politici cattolici come il tempo dei “copernicani”: anticipa il vento di cambiamento che negli anni Sessanta trasformerà nel profondo il Paese, gli italiani, la politica, la Chiesa stessa.
E l’economia. L’assillo dei “Folli”, la loro inquietudine, le loro lotte con le gerarchie parte quasi sempre da qui: l’ansia per chi rimane indietro. Lancisi ricorda per esempio la strage di lavoratori cinesi in un capannone di Prato avvenuta nel 2013 che spinse Francesco a parole di condanna e a fianco rammenta che “quando i cinesi eravamo noi don Milani denunciò le condizioni servili in cui erano tenuti molti lavoratori del tessile. E per questo pagò il conto salato e crudele dell’esilio a Barbiana, deciso sì dalla Curia fiorentina, ma con la complicità della Dc locale e degli industriali della zona”. Per don Lorenzo lo sciopero è un’arma, l’ingiustizia sociale – rileva Lancisi – un ostacolo all’evangelizzazione. “Il tragico – scrive il parroco di Barbiana – è che un pazzo possa impunemente fare e disfare nella vita degli umili. Che la società sia organizzata in modo da proteggerlo. Il potere politico è in mano dei ricchi. Il potere della legge si infrange di fronte al potere economico”. Raccomanda un giovane amico disoccupato, Franco, a un industriale: “Se me lo raccomanda lei non sarà certo un comunista”. Don Milani gli riporta le parole di Franco: “E un comunista non deve mangiare?“. Ci mette il timbro: “E ha ragione“.
Oppure c’è la storia di La Pira, il padre costituente fu relatore decisivo dell’articolo 2 che garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Dopo l’esperienza parlamentare e di governo, lascia Roma e torna a Firenze, dove – non proprio in linea con i desideri della Democrazia Cristiana – diventa sindaco. Ha la visione di fare di Firenze “sempre più il centro dei valori universali”. Non riscuote mai l’indennità da sindaco che aggiunge al fondo del Comune per i bisognosi. Il Vangelo come programma di governo. Dice: “Il Vangelo parla chiaro. Nella scelta fra i ricchi e i poveri; fra i potenti e i deboli; fra gli oppressori e gli oppressi; fra i licenzianti e i licenziati; fra coloro che ridono e coloro che piangono; la nostra scelta non ha dubbi: siamo decisamente per i secondi”. Chiede ai proprietari di affittare al Comune i loro appartamenti vuoti, come alloggio per gli sfrattati. Riceve poche risposte e così li requisisce: finisce in tribunale e viene assolto. “Devo lasciarmi impaurire – chiede in una lettera a Ettore Bernabei, allora direttore del Giornale del Mattino – o devo continuare, e anzi con energia maggiore, a difendere come posso la povera gente srnza casa e senza lavoro? Un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri – sfrattati, licenziati, disoccupati e così via – è come un pastore che per paura del lupo abbandona il suo gregge”.
E’ così che si trova idealmente faccia a faccia, muro contro muro, con gli industriali. A Firenze chiude la Pignone, 1700 dipendenti licenziati. La Pira, racconta Lancisi, è un tornado di lettere e telefonate: a Papa Pio XII, ai vescovi, al ministro degli Interni Amintore Fanfani, al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il capo del governo gli rinfaccia: “Così fai il gioco dei comunisti”. Il sindaco gli risponde: “Il gioco dei comunisti lo fanno tutti coloro – operatori economici e uomini politici – che disconoscendo la santità e l’improrogabilità del pane quotidiano (procurato col lavoro) gettano nella disperazione e nella radicale sfiducia i deboli”. Poi è la volta del presidente della Confindustria Angelo Costa che in una lettera al sindaco non si trattiene: “In nome della carità – scrive – non si può presumere di superare le leggi dell’economia”. Per La Pira è traducibile come una negazione del Vangelo: “Si sgretola un’intera economia cittadina? Si mette la disperazione in migliaia e migliaia di famiglie? Niente paura! (…) Lasciate che la meccanica economica – leggi divine! – svolga i suoi congegni e vedrete quali armonie si produrranno”. Aveva scritto in L’attesa della povera gente: “E’ questa l’impostazione che deve avere l’economia secondo il Vangelo (perché un’impostazione umana dell’economia attira la benedizione di Dio e opera dei veri miracoli, incognita di ogni calcolo generoso!): il bilancio dello Stato deve essere compilato con riferimento non più al danaro ma al potenziale umano disponibile: tanti uomini da occupare, tanti danari da spendere. Deve diventare un bilancio a ‘scala umana’”.
Parole che suonano ancora più familiari, come pronunciate ieri, di fronte all’orizzonte buio della ricostruzione dopo il dramma della pandemia che da sanitario si è fatto economico e quindi sociale. All’epoca La Pira e don Milani, si sofferma Lancisi, colgono subito “l’altra faccia della Ricostruzione: a pagare sono soprattutto i poveri”. L’analfabetismo, i turni massacranti degli operai, l’emergenza dei senza casa, i migranti in cerca di occupazione. “Parte del mondo cattolico – ricostruisce Lancisi – patisce la delusione per la Dc al potere, quella parte che coltivava il sogno di una società cristiana ispirata ai valori del Vangelo e si ritrova invece masse di poveri senza lavoro, casa e futuro. Don Milani, e con lui preti come don Primo Mazzolari, avvertono che, appoggiando la Dc, la Chiesa ha finito per tradire i poveri”. Un Vangelo mancato.
Il lavoro di Lancisi sui Folli di Dio parte da una sua inchiesta sul Corriere Fiorentino di qualche anno fa. E’ durante questo percorso che ha ritrovato anche una lettera inedita di padre David Turoldo, friulano, combattente antifascista, frate dei Servi di Maria, che sarà definito la “coscienza inquieta della Chiesa”. Un esiliato continuo: le gerarchie della Chiesa lo allontanano da Milano e lo mandano a Firenze, al convento della Santissima Annunziata. Qui si salda il rapporto con La Pira e gli altri folli all’insegna della parola d’ordine del rinnovamento, che include la Chiesa cattolica. Ma di nuovo il vescovo, d’accordo con il Sant’Uffizio, lo allontanerà: “E’ come un animale braccato”, dice Lancisi. “Fatelo girare il mondo” è la frase che si attribuisce al cardinale Alfredo Ottaviani, romanissimo ultraconservatore che non ebbe timori a definirsi “il carabiniere dell’ortodossia” e che sarà l’ultimo resistente ad arrendersi nel dibattito del Concilio Vaticano II. E in effetti, come suggerì Ottaviani, Turoldo è costretto a girare il mondo: la Baviera, il Canada, Londra. E’ da qui, lui primo dei Folli “espulso” da Firenze, che scrive la lettera inedita ritrovata da Lancisi negli Archivi di Cristiani nella Toscana del Novecento. Una lettera che fa da prologo al libro perché inevitabilmente ne è un sommario: c’è lì dentro, tra le altre cose, il dramma della disoccupazione e la critica della subalternità di una parte della Chiesa alla Confindustria. “Si parla di operai e di licenziamenti ecc. ma dove mai si fonda e come il diritto di licenziamento (intendo licenziamento per ragioni economiche)? E chi mai ha detto che la fabbrica sia di proprietà del “Padrone”? E chi è e cosa è il “Padrone?”. “Un canto maiuscolo – sottolinea Lancisi – all’eresia della Firenze lapiriana”.
Il soffio visionario del cattolicesimo democratico fiorentino anticipò le più dolorose contraddizioni della modernità. Ma forse “troppo presto“: padre Turoldo viene spinto a “girare il mondo”, don Milani viene spedito nel deserto di Barbiana e il suo Esperienze pastorali messo all’indice dal Vaticano che ne vieta la vendita, i “fuochi di La Pira” – come li chiama Lancisi – vengono spenti, soprattutto per effetto del “gelo senza misericordia” della Dc. Ora, però, sessanta, settant’anni i semi dei Folli sembrano germogliare.
Con stile asciutto, elegante e divulgativo, grazie a moltissimi aneddoti e retroscena, Lancisi riesce non solo a scattare una fotografia compiuta di quel capitolo fondamentale della Chiesa italiana, ma anche ad aprire un canale tra passato e futuro, laddove la storia di don Milani, La Pira e gli altri – tra arcivescovi e preti di periferia – risulta utile in una fase di disorientamento, ricostruzione, ripensamento, visione di un futuro possibile. E il passato è il suo, di Lancisi, e di tanti con lui, ma vale come prototipo utile per tutti, per il tempo nuovo alle porte: “I Folli di Dio – scrive – mi hanno indicato che un’altra Chiesa e un altro mondo sono possibili”. E quindi vale la pena raccontare questa storia mirabolante ai più giovani. Non una strada o un modello, ma un messaggio: “Cercare il senso della vita nella spiritualità e nella ribellione sociale intesa come amore per la giustizia“. L’esempio di don Lorenzo.