Quattro esplosioni misteriose in meno di 10 giorni in quattro impianti in Iran – la centrale nucleare di Natanz, i depositi di idrogeno liquido, centrali elettriche, e impianti per l’assemblaggio di missili – sono un po’ troppe per essere attribuite al caso. Gli organi ufficiali iraniani ancora indagano e nessuno ha ancora pronunciato la parola sabotaggio, ma nella comunità di intelligence si parla di un nuovo virus che ha infettato i nuovi sistemi delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.
“C’è la mano Dio”, dicono in tanti, dove “Dio” in Israele è sinonimo di Mossad. Lo Stato ebraico – come sempre – tace ma si prepara a una possibile reazione iraniana. L’ultima misteriosa esplosione che ha danneggiato una centrale elettrica nella città iraniana di Ahvaz ha spinto l’Iran a emettere un avvertimento per Israele e gli Stati Uniti. I media persiani e arabi hanno riferito di un’esplosione e un incendio nella centrale elettrica di Zargan ad Ahvaz, nel sud-ovest del Paese, vicino al Golfo Persico e al confine con l’Iraq. L’agenzia di stampa iraniana Irna ha in seguito annunciato che l’incendio era sotto controllo ed era stato provocato dall’esplosione di un trasformatore sovraccarico.
Sabato, sempre l’Irna ha riferito che una perdita di gas cloro in un centro petrolchimico nel sud-est dell’Iran aveva contagiato 70 lavoratori. La maggior parte degli operai del centro petrolchimico di Karun, nella città di Mahshahr, nella provincia sudorientale del Khuzestan, sono stati dimessi dall’ospedale dopo essere stati sottoposti a cure mediche. Questi due incidenti sono arrivati dopo che un’esplosione aveva danneggiato giovedì scorso la centrale nucleare iraniana di Natanz e la scorsa settimana si era verificata una forte esplosione nelle vicinanze di Teheran, apparentemente avvenuta nel complesso militare di Parchin, che secondo gli analisti della Difesa dispone di un sistema di tunnel sotterraneo e strutture per la produzione missilistica.
Channel 13, la tv israeliana sempre ben informata sugli eventi in Iran, ieri sera ha affermato che Israele si sta preparando per una possibile rappresaglia iraniana, mentre i funzionari di Teheran hanno suggerito venerdì che il fuoco misterioso e l’esplosione a Natanz avrebbero potuto essere causati da un attacco informatico israeliano. Secondo la tv l’attacco ha “distrutto” un laboratorio in cui l’Iran stava sviluppando centrifughe avanzate per un più rapido arricchimento dell’uranio. Anche tre funzionari iraniani hanno riferito all’agenzia Reuters di ritenere che l’incidente alla struttura di arricchimento di Natanz giovedì sia stato il risultato di un attacco informatico, e due di loro hanno affermato che dietro poteva esserci Israele, ma non hanno fornito prove.
Alla domanda sulle notizie dell’incidente, durante una conferenza stampa prima del week end, il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha risposto: “Non affronterò questi problemi”. Ma Amos Yadlin, capo dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale, ed ex capo dell’intelligence militare dell’Idf, le forze armate israeliane, ha affermato che “se Israele è accusato da fonti ufficiali, allora dobbiamo essere operativamente preparati per la possibilità di una reazione iraniana attraverso la cyberwar, lanciando missili dalla Siria o con un attacco terroristico all’estero”.
L’analista militare israeliano di Channel 13, Alon Ben-David, ha detto che l’attacco ha colpito “la struttura in cui l’Iran sviluppa centrifughe più avanzate”: “Quelle erano centrifughe che avrebbero dovuto essere installate sotto terra nella struttura di Natanz, dovevano sostituire le vecchie centrifughe e produrre uranio molto più arricchito, molto più rapidamente. Hanno subito un duro colpo. Si deve presumere che, ad un certo punto, vorranno vendicarsi”. Dopo l’incendio nella centrale di Natanz, l’agenzia di stampa statale iraniana Irna ha pubblicato un annuncio: “Se ci sono segnali che Paesi ostili abbiano in qualche modo oltrepassato le linee rosse dell’Iran, in particolare il regime sionista (Israele) e gli Stati Uniti, la strategia dell’Iran per affrontare la nuova situazione deve essere sostanzialmente riconsiderata”. Natanz, che si trova a circa 250 chilometri a sud di Teheran, comprende strutture sotterranee in cemento armato che offrono protezione dagli attacchi aerei. “Non c’era materiale nucleare (nel deposito danneggiato) e nessun potenziale di inquinamento”, ha detto il portavoce dell’organizzazione iraniana per l’energia atomica Behrouz Kamalvandi alla tv di stato.
L’agenzia di stampa Fars, che è vicina ai pasdaran, ha riferito che l’esplosione di Parchin è stata generata da “un serbatoio di gas industriale” vicino a una struttura del ministero della Difesa. Tuttavia, ciò è stato in gran parte ignorato dagli analisti militari quando sono emerse le fotografie satellitari del complesso militare che mostrano invece gravi danni sul sito. Le foto della zona (prese dal satellite europeo Sentinel 2), mostrano centinaia di metri di macchia carbonizzata che non si vedono nelle immagini della zona scattate nelle settimane precedenti l’incidente. L’area di stoccaggio del gas si trova vicino a ciò che gli analisti descrivono come la struttura missilistica iraniana di Khojir. Il Centro per gli studi strategici e internazionali con sede a Washington ha identificato Khojir come il “sito di numerosi tunnel, alcuni sospettati di essere usati per l’assemblaggio di armi” e i grandi edifici industriali sul sito – visibili dalle foto satellitari – suggeriscono che lì vengano prodotti missili.
L’Iran ha a lungo negato la ricerca di armi nucleari, anche se l’Aiea aveva precedentemente affermato che l’Iran aveva svolto un lavoro a “sostegno di una possibile dimensione militare al suo programma nucleare”, che si era in gran parte fermato alla fine del 2003. Le preoccupazioni occidentali per il programma atomico iraniano hanno portato a sanzioni e infine all’accordo nucleare di Teheran del 2015 con le potenze mondiali. Gli Usa, sotto il presidente Donald Trump, si sono ritirati unilateralmente nel maggio 2018. Ue, Russia e Cina ritengono quell’intesa ancora valida, ma crescono i sospetti che Teheran abbia da tempo abbandonato i limiti di produzione dell’uranio imposti dal deal.