Per quindici anni l’avvocato Raffaele Bevilacqua è stato in carcere buono e zitto. Come si addice ai padrini di un tempo, nelle cui vene scorre il sangue della mafia antica. Sapeva che bisognava avere pazienza e, prima o poi, sarebbe arrivato il momento “di riprendersi il tempo perduto”. Avrà pensato questo il 25 maggio 2018, quando il tribunale di Sorveglianza lo spedì per problemi di salute agli arresti domiciliari, nonostante una condanna all’ergastolo perché mandante di un omicidio. Sei mesi da trascorrere a Catania, a casa della figlia Maria Concetta, pure lei penalista, per prepararsi a un intervento chirurgico. Comincia così l’inchiesta Ultra della procura di Caltanissetta sul ritorno in scena della famiglia mafiosa di Barrafranca e di Bevilacqua. Il mafioso borghese, iscritto alla corrente andreottiana della Dc, ex consigliere provinciale ma soprattutto referente di Cosa nostra per tutta la provincia di Enna. Per capirne la caratura basta tornare indietro al 1991, alla vigilia della stagione delle stragi, quando Bevilacqua partecipa alla commissione interprovinciale di Cosa nostra insieme a Totò Riina, Bernardo Provenzano e Nitto Santapaola.

Nei nuovi ingranaggi mafiosi l’avvocato avrebbe coinvolto tre dei quattro figli. Alberto e Giuseppe sono finiti in carcere, mentre per Maria Concetta sono stati sufficienti i domiciliari. Proprio l’avvocata è una delle figure chiave dell’inchiesta. Postina dei messaggi del padre da un lato ma anche complice nel trasformare il suo appartamento nel crocevia degli incontri con alcuni storici affiliati. Al cospetto di don Raffaele, nonostante i domiciliari, il 27 gennaio 2019 si presenta l’80enne Alessandro Salvaggio, un fedelissimo della famiglia mafiosa di Barrafranca. Il faccia a faccia è intriso di ritualità tanto che l’ospite saluta l’avvocato con il baciamano. Si parla di affari e anche del possibile omicidio dell’ex sindaco di Barrafranca Totò Marchi, colpevole di avere preso pubblicamente posizione contro la mafia. Il progetto, a incontro concluso, viene commentato dalla figlia Maria Concetta: “Papà – dice mentre le microspie registrano – se fai una cosa di questa non ti guardo più. Fino a prova contraria i tuoi ordini io li cambio… me lo posso permettere”. Maria Concetta vuole sapere tutto e lo dice senza mezzi termini: “Devi raccontarmi ogni cosa, dalla testa ai pedi… perché se muori…”.

Nei pensieri del padre la figlia entrava anche quando c’è da pianificare il business “di quella cosa”, ossia la droga. Bevilacqua al suo interlocutore 80enne prospettava di possedere un valido contatto in Calabria, grazie a un’amicizia stretta nel carcere romano di Rebibbia con Giovanni Strangio, il boss della ndrina di San Luca accusato di essere uno dei killer della strage di Duisburg del 2007. “Mia figlia – annota il Ros – difende il marito di questa signora, circa un mese fa le ho detto “chiama la moglie di questo perché gli stai sbrigando tante cose, dille che le devo parlare e poi me la vedo io come andare lì””. L’incontro alle fine non c’è stato ma l’episodio diventa uno dei tasselli per capire come Bevilacqua ambisse a tornare in campo davvero. Senza mai dimenticare il passato. “Se con il cellullare ti viene in mente una persona – gli spiega uno dei figli – la puoi contattare con internet senza avere il numero”. “Me ne fotto una beata minchia di queste cose – risponde il boss – Io sono abituato così, lo vedi?”, ripete mostrando carta e penna per scrivere i pizzini.

A finire indagato nell’inchiesta Ultra è anche l’attuale primo cittadino di Barrafranca Fabio Accardi, accusato di corruzione aggravata dall’avere favorito Cosa nostra per l’appalto dei rifiuti. La politica per Bevilacqua è sempre stata un cruccio. Lo ricorda ai familiari un mese dopo la scarcerazione durante un pranzo conviviale: “Io sono creditore morale – si legge nelle intercettazioni dell’inchiesta – di tanti potenti che reggono la provincia. Io so e loro sanno… il mio silenzio è stato un beneficio per costoro”. Tra gli aneddoti del passato di Bevilacqua ce n’è uno, inserito in una vecchia indagine, risalente al 19 dicembre 2001. Giorno in cui, all’interno dell’hotel Garden di Enna, gli investigatori intercettano un incontro tra il boss e l’allora vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana Mirello Crisafulli. Il politico più potente della provincia – sarà poi eletto parlamentare e senatore – e il boss democristiano insieme per parlare di appalti e politica. Bevilacqua sembrava interessato ad alcune gare d’appalto. “Fatti i cazzi tuoi”, aveva risposto il politico. La procura di Caltanissetta indagò Crisafulli per concorso esterno ma, alla fine, il fascicolo venne archiviato.

Nell’inchiesta Ultra l’ex senatore non è coinvolto ma il suo soprannome – Cappiddazzu – compare durante un dialogo tra Bevilacqua e la moglie, occasione in cui l’avvocato racconta di avere dato un messaggio al figlio da consegnare a Giovanni Barrile, ex segretario Pd dell’ennesse: “Gli dici – racconta Bevilacqua – “Signor Giovanni, mi manda mio padre”, fidati, “confida in lei che…vede di farmi assumere…io lo so come funziona la politica, mio padre mi ha spiegato, passa questo a Cappiddazzu, lei gli dica a Cappiddazzu che è un problema suo. Perché Cappiddazzu con mio padre ultimamente ha avuto dei problemi… però… Cappiddazzu dovrebbe essere per tutta la vita debitore nei confronti di mio padre perché è stato uomo! Si è fatto la galera”. Il dialogo prosegue ma gli investigatori hanno omissato il resto.

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