Più che il Titano è un Titanic alla deriva, che lancia sos nell’aria e telegrafa a Roma invocando soccorso. La Repubblica di San Marino, da sempre crocevia di conti e affari milionari, è letteralmente senza un soldo, gravata da 360 milioni di debiti, dal sistema bancario al collasso e titoli ridotti a “spazzatura”. Per evitare il default, senza rinunciare alla sua “sovranità”, lo staterello le prova tutte: il debutto sul mercato internazionale dei capitali con un “Titano bond” da 500 milioni al varo in questi giorni sotto l’egida di JPMorgan, la moneta elettronica (“Il titano”, valore un euro) per dare liquidità alle famiglie e pagare le pensioni, senza disturbare la Bce. In ballo – ma i sammarinesi lo dicono a denti stretti – c’è perfino l’ipotesi di introdurre l’Iva che non s’è mai vista da quelle parti.

Sotto sotto però, la repubblica costituzionale più antica al mondo – copyright di Abramo Lincoln – cerca la sua prima e naturale sponda nell’Italia, il Paese che più di tutti ha sopportato l’enclave autonoma alle pendici del Monte Titano, tra Romagna e Marche, divenuta mitologica nelle mappe della finanza sporca e delle triangolazioni societarie.

Dalla sua, rivendica di presentarsi al tribunale internazionale del salvataggio con le carte in regola. San Marino non è più l’El Dorado degli evasori e dei profeti del riciclaggio, ripete il segretario di Stato per le Finanze Marco Gatti, nipote di quel Gabriele Gatti che per 30 anni fu l’uomo forte della Dc sammarinese (oggi tornata al governo), ex capo di Stato e ministro agli Esteri finito arrestato nella Tangentopoli del Titano con accuse di corruzione, riciclaggio e voto di scambio. “Ci sentiamo ma non parliamo di politica” assicura il nipote che insiste sul “Paese reale” fatto di 6mila frontalieri italiani e di “industrie della manifattura industriale e chimico-farmaceutica che competono a livello internazionale e non meritano di affondare”.

Per questi motivi, la crisi del mini-Stato dalle 10mila doppie residenze trova ascolto negli abboccamenti cercati col governo (tramite la rappresentanza estera) e anche l’attenzione dei partiti, come dimostra l’interrogazione dei deputati romagnoli di Italia Viva che chiedono al governo che intenzioni abbia senza però parlare apertamente di interventi di risanamento economico nazionale. “Se salta il banco di San Marino, è un dramma per 10mila italiani”, sprona Marco Di Maio deputato eletto nel collegio uninominale Forlì-Faenza col Pd e ora passato con Renzi.

La Repubblica di San Marino, del resto, ha pagato il suo prezzo. Vicina ai litorali di Rimini, ha subito l’urto dei contagi e pagato cara l’incertezza dei primi mesi, con 1200 residenti in quarantena su 33mila, percentualmente uno degli Stati più colpiti al mondo. “Il governo all’inizio temeva gli effetti economici del lockdown perché eravamo già in crisi nera” spiega Giuseppe Maria Morganti, consigliere dell’opposizione del Psd, il Pd del Titano. “Poi abbiamo reagito bene grazie anche a una sanità che è rigorosamente pubblica e capace di riorganizzarsi: il nostro ospedale aveva 4 posti di terapia intensiva e in 15 giorni sono diventati 20, l’isolamento era zero ha dato posti a 70 persone. Ora siamo ufficialmente a contagi zero”.

Resta l’horror vacui di chi, dopo la crisi sanitaria e il lockdown, si affaccia a quella economica senza sbocchi e indebitato fino al collo. Le chiusure hanno mangiato il 12 per cento del Pil che si aggiunge al calo del 28 per cento registrato negli ultimi cinque anni. “La ricchezza di San Marino si è più che dimezzata”, sintetizza Morganti. A mangiarsela sono state le banche: delle 11 esistenti, sei hanno chiuso, una è diventata statale. L’ultima liquidata dichiarava debiti deteriorati per 100 milioni e ne cuba più del doppio. Di quei debiti si è dovuto far carico lo Stato, che ora deve collocarli in qualche modo.

Oltre al bond, per rispondere alla crisi di liquidità si pensa a un’intervento da 200 milioni del Fmi per il quale diventa essenziale il placet della Banca d’Italia. Una promozione sul fronte della vigilanza aiuterebbe l’apertura al mercato monetario. E qui entra in ballo anche la geopolitica. Il rischio dietro l’angolo è che il debito di San Marino prima o poi se lo comprino russi e cinesi, magari in cambio di voti favorevoli all’Onu e all’Ocse. E nessuno nel Titano-Titanic, che dal 1300 galleggia lungo la linea della neutralità, è disposto a svegliarsi avendola svenduta con la sua sovranità.

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