C’è un pezzo, si chiama ‘Dance On’, che Ennio Morricone compone nel 1978. E che viene poi utilizzato in diversi film, da ‘Così Come Sei’ di Lattuada con Mastroianni e Natassja Kinski, al mitico ‘Un Sacco Bello’ di Verdone (la scena nel parcheggio dell’ospedale mentre Renato Scarpa viene curato dal “Dottorino”). Si tratta di un brano minore nella sterminata discografia morriconiana, che infatti viene un po’ “palleggiato” tra diverse pellicole perché utilizzato come sfondo sonoro, più che come tema, per momenti danzerecci in genere, o di relax, di svago, è un po’ il “mood scanzonato” adattabile a diverse situazioni, se dovessimo dirla da pubblicitari.
Eppure, ‘Dance On’ è un brano seminale. Ed è una fotografia perfetta del genio che è stato – anzi che è, perché l’uomo muore ma l’arte resta ed è eterna – Morricone. Per tante ragioni: è un brano, innanzitutto, assolutamente d’avanguardia per quel tempo. Siamo in piena epoca disco e ‘Dance On’ con i suoi synth e il gancio vocale che si ripete senza nessuna strofa o inciso anticipa addirittura l’evoluzione del genere, la italo disco che arriverà negli anni ’80, e poi si spinge fino a certi archetipi house, genere che nascerà soltanto nel 1985 a Chicago. E poi, perché è una traccia puramente funzionale, in cui la ricerca artistica esiste ed è notevole, ma è totalmente assoggettata allo scopo del brano all’interno del corpus film. E ancora, è squisitamente pop, lo era allora e lo è oggi, forse più di allora. Perché nel frattempo la dance, la house, sono diventate pop. E il pop da streaming ha sfrondato strofe e incisi per arrivare, spesso, dritto ai ritornelli, e ai riff assassini che non se ne vanno dalla testa. In questo senso, leggere ‘Dance On’ come una delle più importanti composizioni di Morricone, e non come qualcosa di piccolo e laterale, ci consente di mettere in campo un lato del Maestro che viene troppo spesso lasciato da parte: il lato pop.
Morricone è noto principalmente per il suo immenso, straordinario lavoro sul cinema. Senza di lui il western non sarebbe stato lo stesso (anche in America, non parliamo solo di Spaghetti). E la storia stessa del cinema non sarebbe stata la stessa. Quentin Tarantino ha tra i suoi fari la musica di Morricone. Probabilmente, Christopher Nolan senza Hans Zimmer non avrebbe un ruolo così centrale nel cinema degli ultimi quindici anni (‘Dunkrik’, ‘Interstellar’, per citare du esempi eccellenti), e Hans Zimmer non sarebbe stato così importante nella storia del cinema se non ci fosse stato Ennio Morricone. E ancora, il cinema italiano, dalla commedia al nuovo cinema (italiano e Paradiso). E poi, è celebrato il Morricone superstar, frontman, direttore d’orchestra adorato in tutto il mondo, con i concerti-evento della sua ultima grande gloriosa stagione artistica, dal 2000 in poi.
Ma un ruolo preminente e di assoluto rilievo è anche quello del Morricone pop. Che risale agli inizi della sua carriera, quando il giovane compositore romano, diplomato in tromba e assunto alla RCA Italiana da Vincenzo Micocci, si mette al servizio di quelle che oggi chiameremmo le hit estive, o stagionali. La mano di Morricone è dietro l’arrangiamento di successi come ‘Abbronzatissima’, ‘Hully Gully in 10’, ‘Sul Cocuzzolo’, i grandi cavalli di battaglia di Edoardo Vianello, pura storia del costume italiano del Novecento e ritratto di un’epoca e dei suoi umori. E ancora, entrando nell’olimpo della canzone, c’è il suo tocco in ‘Sapore Di Sale’ e nella prima versione de ‘Il Cielo In Una Stanza’ e anche in ‘Se Telefonando’ di Mina, che lo annovera come autore (in discreta compagnia: Maurizio Costanzo). Ma il lavoro di Morricone negli anni della RCA è vastissimo: da Domenico Modugno a Mario Lanza, da Miranda Martino a Renato Rascel, da Gianni Morandi a Tony Del Monaco. E non sono certo titoli sufficienti a dare un’idea anche solo parziale del ruolo e del peso che Morricone ha in quegli anni nel tessuto pop della musica italiana, che ha scolpito e plasmato con rilievo assoluto. Milva, Rita Pavone, Nico Fidenco, Paul Anka, Catherine Spaak, Astrud Gilberto, Jimmy Fontana, Gabriella Ferri, Luigi Tenco… l’elenco è sterminato. Ennio Morricone è onnipresente, scrive, arrangia, dirige. Il suo è un lavoro da deus ex-machina, nonostante a quel tempo il riconoscimento per questo tipo di maestranza fosse decisamente più artigianale che artistico, più vicino alla figura di un turnista che a quella del musicista/produttore artistico con la “visione”, che in mercati come quello britannico o americano si vanno già delineando (Quincy Jones, Phil Spector, Jimmy Iovine, più avanti Brian Eno, oggi Pharrell Williams o Kanye West, o in Italia Dardust, per fare un paragone contemporaneo).
Il destino lo porta presto a fare rotta verso il cinema. Le cose sono andate come sappiamo: Morricone ha forgiato l’idea stessa di musica per il cinema, in Italia e fuori. Ha reso un mestiere da “mestieranti”, appunto, di serie B, un’arte di alto livello (lui e altri, beninteso). È diventato ricco e famoso, celebre e celebrato. Ma l’impronta che ha dato alla musica pop italiana è altrettanto importante. È qualcosa con cui facciamo ancora oggi i conti: quando la melodia deve spiccare per accattivare la nostra attenzione anche se ascoltiamo un album di Sfera Ebbasta, quando sentiamo i tipici arrangiamenti di archi e fiati, o certe chitarre, inevitabilmente anni ’60 ma allo stesso tempo, spesso, estremamente moderne, fresche, snelle, alla faccia di certi insopportabili e polverosi arrangiamenti sanremesi di deriva.
Per descrivere e raccontare tutto Morricone, e l’influenza che ha avuto in tutti generi, gli stili, le correnti musicali che ha lambito, servirebbero cento articoli. Aver cercato di mettere un puntino su una mappa così vasta, raccontando il lato pop di questo incredibile gigante, non è che un inizio. Una goccia nel mare. Un mare grande, immenso. In cui possiamo fortunatamente tuffarci.