Si chiama 'Matarife - Un genocida innominabile' ed è una sorta di film-documentario basato su inchieste e ricostruzioni giornalistiche sull'ex presidente colombiano. E' prodotto da Emma Thompson ed è un caso editoriale: mai neanche nominato dalle televisioni, in rete è diventato un fenomeno virale. Obiettivo del suo ideatore è dimostrare i legami del narco-paramilitarismo, della corruzione e dei potentati economici con il politico e la sua cerchia da oltre 30 anni
Una serie web scuote la Colombia. Si chiama Matarife (letteralmente “macellaio”, “squartatore”) ed è incentrata sulla figura di Álvaro Uribe Vélez, senatore ed ex presidente della Colombia, ritenuto tuttora il vero dominus del Paese sudamericano. Obiettivo di Matarife – Un genocida innominabile è documentare i legami criminali del narco-paramilitarismo, della corruzione e dei potentati economici con Uribe e la sua cerchia da oltre 30 anni.
Da Pablo Escobar e i fratelli Ochoa, a capo del cartello di Medellin, fino ai massacri dei paramilitari ai danni di contadini, sindacalisti e leader sociali, la storia della Colombia corre parallela a quella del politico ultra-conservatore, leader del partito di governo Centro Democrático. Tanto da diventare quasi una religione: l’uribismo, imperante nel Paese inondato da fiumi di sangue, soldi e cocaina.
Una difesa vincente: dal tribunale alla video-inchiesta – La serie, trasmessa su Telegram, Youtube e Whatsapp per evitare rischi di censura sui canali tradizionali, è stata ideata dallo scrittore, giornalista e avvocato penalista colombiano Daniel Mendoza Leal. Con un’origine curiosa: un giornalista affermato, Gonzalo Guillén, era stato denunciato per diffamazione proprio da Uribe, per averlo definito “matarife”, oltre che “mafioso” e “narcotrafficante”. Guillén, difeso da Mendoza, vince la causa e il suo avvocato decide così di costruire la serie, intitolandola proprio con l’epiteto che fa imbestialire l’ex presidente Uribe. Diviso in 50 brevi puntate di circa 6-7 minuti l’una, il documentario web si basa su avvenimenti reali e accertati, frutto di inchieste giornalistiche. Con una produttrice d’eccezione: la star Emma Thompson, da pochi mesi ufficialmente residente a Venezia.
E il successo, dopo sei puntate, è enorme anche fuori dai confini nazionali: la prima puntata ha raggiunto 3,5 milioni di visualizzazioni in 24 ore, nonostante tv e giornali tradizionali in Colombia fatichino persino a nominare la serie. Eppure, già dall’annuncio di Matarife su Youtube, sono piovute minacce di morte e intimidazioni, in particolare contro Mendoza, a cui è stata assegnata una scorta. Tra chi ha annunciato azioni legali, per esempio, c’è la vicepresidente della Colombia Marta Lucía Ramírez, figura di spicco nel milieu fotografato dagli autori della serie. Proprio la vicepresidente è finita recentemente al centro di uno scandalo per una vecchia storia, rivelata dal portale La Nueva Prensa (il giornale di Mendoza, Guillén e Julián Martínez): aveva occultato il pagamento di 150mila dollari di cauzione per liberare il fratello, condannato per traffico di eroina in Florida.
Dai voli di Escobar alla presidenza della Colombia: chi è Uribe – Il “genocida innominabile”, come viene definito senza troppi giri di parole il protagonista di Matarife, è Álvaro Uribe Vélez, il 67enne avvocato e politico di lungo corso. Dietro la faccia pulita, gli occhiali trasparenti e i modi pacati si nasconde uno degli uomini più indagati della Colombia, con centinaia di casi aperti contro di lui. Non solo: nei primi anni ’90, due lustri prima di diventare presidente, l’agenzia militare d’intelligence degli Stati Uniti (Dia) gli aveva dedicato il numero 82 nella lista delle persone legate al narcotraffico colombiano. Amico personale di Pablo Escobar e cugino degli Ochoa, Uribe è stato considerato sin da giovane un alleato del cartello di Medellin. Proprio da Medellin è cominciata la sua carriera politica, finanziata anche dal cartello di Escobar: sindaco a 30 anni, poi senatore e governatore del dipartimento di Antioquia, fino al doppio mandato presidenziale a Bogotà (2002-2010), sempre a destra e nell’orbita di Washington.
Ma il primo vero incarico, a soli 28 anni, è stato direttore dell’aeronautica civile nel 1980, quando rimpiazzò Fernando Uribe Senior, ammazzato dai narcos: una posizione che gli consentì di autorizzare i voli di “Don Pablo” con i carichi di cocaina. Un rapporto di do ut des quello con l’impero criminale di Escobar, dei fratelli Ochoa e di José Gonzalo Rodríguez Gacha (El Mexicano). Fu quest’ultimo a costruire uno dei più vasti complessi di raffinazione di cocaina, quello di Tranquilandia, nella giungla di Caquetá. Durante l’assalto in cui venne distrutto, il 10 marzo 1984, gli uomini della polizia colombiana e della Dea statunitense trovarono anche un elicottero di proprietà di Alberto Uribe Sierra, il padre di Álvaro, che era stato ucciso nove mesi prima. Un blitz che il cartello di Medellin ricambiò poche settimane dopo, il 30 aprile 1984, quando venne assassinato il ministro della Giustizia Rodrigo Bonilla Lara, che – come l’allora presidente Belisario Betancur – contrastava il narcotraffico.
Un cocktail tra ministri e assassini: il milieu del Club El Nogal – Questi e tanti altri sono i fatti ripercorsi in Matarife, che inizia dal Club El Nogal, il vero centro di potere di Bogotà, bombardato nel 2003 durante un attacco attribuito alle Farc ma mai rivendicato. È dal lussuoso locale nella settima strada della capitale, infatti, che si vedono gli intrecci delle élite colombiane, gelose del proprio status al punto di osteggiare lo scrittore Gabriel García Márquez a causa delle sue origini popolari. A partire dagli anni ’80, però, il club si riempì di paramilitari e narcotrafficanti, diventati improvvisamente ricchi grazie alla cocaina. Lì, come nel Nogalito – il cortile del carcere La Picota frequentato dai “parapolitici” – si pianificavano massacri contro guerriglieri e altri oppositori, con l’obiettivo esplicito di “ripulire il sottobosco socialista che corrode la patria con la motosega”, come spiega Mendoza (cacciato dal club dopo alcuni articoli di denuncia). Tra i personaggi che frequentano il club fondato da Fernando Londoño Hoyos, ministro dell’Interno e della Giustizia dal 2002 al 2004, condannato per corruzione e sopravvissuto a un attentato nel 2012, ci sono anche generali e colonnelli.
Come Mauricio Santoyo, ex capo della sicurezza di Uribe, legato al narco-terrorismo, e Rito Alejo del Río, condannato a 25 anni per omicidio, che si divertiva giocando a calcio con la testa di persone appena decapitate. Ma anche Salvatore Mancuso Gómez, uno dei capi delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia), l’organizzazione creata nel 1997 per riunire tutti i gruppi paramilitari del Paese. Mancuso, di origine italiana e già legato alla ‘ndrangheta, ha confessato 300 omicidi ed è stato estradato negli Usa per narcotraffico: eppure, quando sulla sua testa già pendevano ordini di cattura internazionali, bazzicava la piscina e i bar del club, tra ministri e altre autorità istituzionali. Chi non solo frequentava El Nogal, ma ci viveva stabilmente era Marta Lucía Ramirez, attuale vicepresidente della Colombia, già senatrice, ambasciatrice in Francia e più volte ministra. Un’inchiesta giornalistica ha rivelato i nessi nel settore immobiliare tra la vicepresidente e l’inafferrabile “Memo Fantasma”, alias Guillermo León Acevedo: il socio in affari della vicepresidente sarebbe quindi il paramilitare e narcotrafficante “invisibile”, di stanza a Madrid.
Guerra e pace: il Matarife tiene i fili dell’uribismo – Dopo oltre 50 anni di guerra civile – chiusa formalmente dagli accordi del 2016 – la pace sembra ancora molto lontana nella Colombia di oggi, governata dal delfino di Uribe Iván Duque, dove si contano le fosse comuni e 200mila scomparsi. Ex guerriglieri veri o finti (fa ancora rumore lo scandalo dei “falsi positivi”, con migliaia di giovani trucidati con l’inganno e fatti passare per vittime dei combattimenti) e leader sociali vengono sterminati per volere dei narco-paramilitari e dei latifondisti, bisognosi di sottrarre la terra ai contadini. Per questo gli sfollati dalle campagne sono milioni, con numeri relativi alla povertà da capogiro. Migliaia di omicidi, negli ultimi anni, sono legati agli squadroni di estrema destra, in primis le Aquile Nere, che massacrano con la benedizione dei riciclatori di denaro sporco. Sullo sfondo, spionaggi illegali, corruzione (vedi Odebrecht) e compravendita di voti, come lo scandalo Ñeñepolitica, l’ennesimo che ha coinvolto l’uribismo. Un sodalizio criminale che, secondo gli autori della serie web, risponde al controllo del Matarife.