Stiamo pagando 900 milioni di euro all’anno, tra distributore e bolletta, la distruzione delle foreste. Perché con l’olio di palma, le cui piantagioni sono la principale causa di deforestazione mondiale, non produciamo solo biscotti o detergenti, ma soprattutto biocarburanti e bioenergie: il 67% delle importazioni di olio di palma in Europa e il 70% in Italia. Siamo, infatti, uno dei Paesi europei che consuma più olii vegetali alimentari per l’energia, nella maggior parte dei casi all’insaputa dei consumatori e con costi aggiuntivi, come denuncia Legambiente nel suo dossier ‘Più olio di palma nei motori che nei biscotti, la mappa degli impianti in Italia’. L’associazione lancia anche una petizione per l’abbandono dei sussidi legati all’olio di palma e di soia entro il primo gennaio 2021, rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha già raccolto 60mila firme.

I DATI DI ITALIA ED EUROPA – Per usi energetici, in Italia abbiamo bruciato nel 2019 oltre un milione di tonnellate di olio di palma, 150mila tonnellate di olio di semi di girasole, 80mila tonnellate di olio di soia. Per la quasi totalità prodotti in piantagioni indonesiane e malesi, a danno di una delle maggiori foreste tropicali al mondo che ha perso negli ultimi vent’anni alberi e torbiere per oltre 33 milioni di ettari. Una perdita incalcolabile per il clima (ogni litro di olio di palma comporta il triplo delle emissioni di CO2 di un uguale volume di gasolio fossile) e per la biodiversità (distruggiamo l’habitat di specie vegetali e animali come l’orango, la tigre e il rinoceronte) che produce, inoltre, rischi di diffusione delle nuove malattie infettive degli animali, trasmissibili all’uomo. Secondo Transport&Environment, nel 2019 i conducenti europei hanno bruciato nei loro motori 20 volte più olio di palma di quanto ne ha usato la Ferrero per tutta la Nutella e i Kinder consumati nel mondo, 15 volte di più di quanto consumato dal gruppo Mondelez (Oreo) per i loro biscotti, quattro volte di più dell’olio di palma impiegato da Unilever per tutti i propri prodotti detergenti in tutto il mondo.

IL NODO DELLA TRASPARENZA – “Mentre sulle confezioni o sui siti web dei prodotti alimentari o dei detergenti e dei cosmetici è riportata la loro composizione – dichiara Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente – i distributori di carburante o i produttori di energia elettrica che bruciano olio di palma lo nascondono nella migliore delle ipotesi, giustificano il sovraprezzo propagandando caratteristiche genericamente green, rinnovabili o vantaggi ambientali inesistenti. Greenwashing, come ha appurato il 15 gennaio scorso l’Autority a proposito dell’Eni-diesel+ del nostro principale ente petrolifero”.

I COSTI PER I CITTADINI – Legambiente ha fatto qualche conto, a partire dai dati del Gestore Servizi Energetici nazionale, sui costi per cittadini e imprese. Ogni automobilista italiano paga, in media, 16 euro all’anno per le cosiddette rinnovabili nel serbatoio, circa 300 milioni di euro nel 2019 per la sola componente olio di palma (quasi metà del biodiesel). Inoltre, cittadini e imprese, pagano nella bolletta elettrica una piccola quota aggiuntiva per i biocombustibili (che sono per il 69% da olio di palma e di soia): quasi 600 milioni di euro di sussidi attribuibili alla sola componente degli oli alimentari. “Poco meno di 900 milioni di euro all’anno – prosegue Poggio – per distruggere foreste in tutto il mondo e aumentare le emissioni di CO2”.

L’APPELLO E LA PETIZIONE – Legambiente ha recentemente scritto ai senatori della commissione Affari Europei del Senato e ai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, inviando loro precise proposte di emendamenti al disegno di legge sul recepimento della nuova direttiva rinnovabili, attualmente in discussione al Senato. “Bruciare olio di palma, di soia e altri oli alimentari non deve più essere sussidiato per legge”, sottolinea Legambiente. Eni, il principale gruppo petrolifero nazionale, che pure nel 2019 ha importato 246mila tonnellate di olio di palma, ha annunciato che entro il 2023 abbandonerà l’uso dell’olio di palma e conterrà al 20% gli altri oli alimentari nella produzione di biodiesel. “Ma Eni – ricorda Legambiente – rappresenta ‘solo’ un quarto delle importazioni dell’olio di palma bruciato in Italia”. Nel dossier, oltre alle due grandi bioraffinerie Eni, Legambiente segnala l’indonesiana Musim Mas, nel porto industriale di Livorno, che importa olio di palma che vende in tutta Europa, e la Bunge nel porto industriale di Ravenna. Decine di traders e agenti commerciali forniscono oli di palma e soia alle 477 mini centrali (diesel) che producono elettricità, inquinando come cinquemila autoarticolati a piena velocità autostradale.

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