Ancora Cassa integrazione per lo stabilimento ArcelorMittal di Taranto. Il gruppo franco indiano chiede altre 13 settimane in attesa di un provvedimento del governo per estendere la Cig prevista per l'emergenza Covid. I sindacati chiedono chiarezza sul futuro del sito pugliese. Dalla UE l'ipotesi di una riconversione verde con l'aiuto di fondi comunitari.
Ancora Cassa integrazione per lo stabilimento ArcelorMittal di Taranto. La Cig ordinaria potrà coinvolgere fino a 8.152 dipendenti tra operai ed impiegati, ossia l’intera forza lavoro dell’ex Ilva, partirà il 3 agosto e avrà una durata di 13 settimane. Il gruppo franco indiano giustifica la richiesta inviata ai sindacati spiegando che “nonostante gli sforzi profusi per reperire nuove ed alternative occasioni di lavoro, tutt’ora in corso” e “visto il drastico calo registrato in questi mesi dei volumi e di conseguenza delle attività produttive” causa Coronavirus l’azienda deve “procedere ad una riduzione della propria attività produttiva”. In realtà, la tattica di ArcelorMittal che sta per terminare le settimane di cassa integrazione previste dal governo per fronteggiare l’emergenza Covid, è chiara. Nell’ attesa di un provvedimento dell’esecutivo che estenda questa possibilità, e che ancora non c’è, il gruppo si muove d’anticipo avviando le procedure per la cig “classica”.
Il mercato dell’acciaio ha subito un duro contraccolpo per effetto dell’epidemia che, per alcuni mesi, ha di fatto azzerato gli ordini. Per ora si intravedono solo flebilissimi segnali di ripresa e una qualche ripresa di commesse da settori come auto, elettrodomestici e cantieristica è attesa solo da ottobre in poi. Nel frattempo il sito di Taranto continua a lavorare sui ritmi più bassi di sempre, circa il 25% del potenziale di quello che rimane l’impianto siderurgico più grande d’Europa. “Il problema non è tanto questa richiesta, tutto sommato prevedibile, quanto il fatto che ancora non si riescono a capire le reali intenzioni di ArcelorMittal spiega Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom Cgil. “Il gruppo intende restare in una compagine societaria in cui entreranno anche capitali pubblici tramite Invitalia o intende abbandonare?”, si chiede Venturi che conclude “è ora che ArcelorMittal e Governo scoprano le carte”.
IL PIANO DELL’AZIENDA – Lo scorso 5 giugno ArcelorMittal ha presentato al governo un nuovo piano industriale per lo stabilimento che prevede n 3200 esuberi e il mancato assorbimento dei 1800 dipendenti rimasti temporaneamente in forza a Ilva in Amministrazione straordinaria. L’organico si ridurrebbe dagli attuali 10.700 lavoratori a 7.500. Nessuna speranza di tornare in fabbrica quindi per tutti gli operai che secondo l’accordo del 2018 tra Governo e fabbrica per l’avvio della gestione indiana delle fabbriche italiane, erano destinati alle bonifiche per essere successivamente riassorbiti nell’organico di Arcelor. Nel piano inviato, inoltre, ci sarebbe l’ipotesi di ridurre la produzione a regime fino a 6 milioni di tonnellate l’anno (a fronte di una capacità di 8 milioni) utilizzando solo tre altiforni: Afo1, Afo2 e Afo4.
IPOTESI “GREEN” CON FONDI UE – Del futuro di Taranto ha parlato oggi anche il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, rispondendo a una domanda in conferenza stampa a Bruxelles. “Con l’acciaio ‘green’ all’idrogeno so che possiamo dare delle possibilità a Taranto, ne sono assolutamente convinto“, ha affermato Timmermans che ha aggiunto “ne ho parlato anche con il Governo italiano che sta pensando a progetti per i prossimi 20 anni. Sappiamo che questa trasformazione richiederà molto tempo, non è una cosa da fare dall’oggi al domani”. Il vicepresidente ha poi concluso “mi auguro che il governo italiano abbia interesse a lavorare con noi utilizzando le risorse del Just Transition Fund (fondo europeo la transizione energetica, che ha una dotazione di 40 miliardi di euro, ndr) e altre risorse per dare a Taranto la possibilità di mantenere e alimentare un’industria dell’acciaio, ma un acciaio ‘green’.