Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)
Il telecronista argentino sta bene attento a scandire ogni singola parola. “Stadio Olimpico di Monaco di Baviera”, dice mentre la bassa risoluzione del tubo catodico proietta le immagini dall’alto della città. “Oggi Roma si è trasformata nella capitale della Germania”. Una freddura che non fa ridere. Perché quella freddura è vera. Sulle tribune le bandiere argentine naufragano in un mare di tricolori. Verde, bianco e rosso. Ma anche nero, rosso e giallo. Dopo secoli gli italiani sono finalmente uniti. Niente più campanilismi, niente più divisioni.
Adesso c’è un nemico comune da combattere, un avversario in carne e ossa. E quel nemico ha due nomi e un cognome: Diego Armando Maradona. È dall’inizio del Mondiale che non fa altro che provocare. E quando l’Italia e l’Argentina si erano affrontate nella semifinale del San Paolo, le cose erano degenerate. Mentre una parte di Napoli aveva tifato per il diez, il resto dello Stivale si era scoperto pieno di rancore. Soprattutto dopo che Goycoechea aveva disinnescato i rigori i Donadoni e Serena, e in finale era volata la Selección. Un Paese intero si è trovato in lacrime. E adesso esige che a piangere sia Maradona.
Argentina e Germania Ovest sono allineate in mezzo al campo. Proprio come quattro anni prima. Solo che in Messico i tedeschi avevano giocato con la maglia verde. Ed avevano perso 3-2. Così più di qualcuno aveva accolto con sollievo la notizia che, stavolta, sarebbe stata l’Albiceleste a giocare con la divisa da trasferta. L’inno tedesco è coperto dalle ovazioni. Quello argentino viene ingoiato dai fischi dell’Olimpico. Maradona aspetta di essere inquadrato e muove le labbra. “Hijos de puta, hijos de puta!”, ripete con disprezzo. Ora però deve far parlare il campo. “Finora nelle finali dei Mondiali abbiamo assistito a una media di minimo tre gol”, esclama sicuro il telecronista argentino. Ma stavolta rimarrà deluso.
Le notti magiche devono essere terminate in anticipo, senza preavviso. Perché quella del 1990 passerà alla storia come la finale dei Mondiali più brutta di sempre. Tanto che Gianni Brera, su Repubblica, la definirà “uno strazio”. L’Argentina si ritrova senza quattro titolari (Olarticoechea, Giusti, Batista e Caniggia). E con un Maradona poco in forma a causa dei tanti problemi fisici accusati nelle ultime settimane. “Dei campioni del mondo – dice El pibe nella sua biografia – in campo c’erano soltanto Burruchaga, con le poche forze che gli rimanevano, Ruggeri, che si trascinava, e io pure. Avevamo perso un mucchio di soldati in guerra”. Prima della partita Franz Beckenbauer chiama Guido Buchwald e gli dice: “Tu oggi pensi solo al numero 10”. E il difensore esegue alla lettera. “Lo seguii dappertutto – dirà qualche anno più tardi – lui era infastidito e mi lanciò maledizioni. Da allora venni chiamato Diego”.
Maradona viene fermato quasi sistematicamente, non riesce a entrare nel vivo nella manovra. Non che agli altri vada meglio. Völler e Klinsmann svariano molto in avanti e poi ripiegano per aspettare i portatori di palla dell’Argentina quasi sulla linea del centrocampo. La Germania è compatta, cerca di recuperare la sfera per poi partire con le folate di Littbarski, Häßler e Matthäus. Ma il vero pericolo viene dalla sinistra. Brehme macina la fascia e scaglia in area un pallone dopo l’altro. Ogni cross è un pericolo. Ogni pericolo è un’occasione che le due punte non riescono a indirizzare contro la porta di Goycoechea. Carlos Bilardo dice ai suoi di stare alti, di non farsi schiacciare dai tedeschi. Lo ripete spesso. A Maradona e a Gustavo Dezotti. Loro annuiscono e si spostano in avanti, fanno sì con la testa ma si trovano sempre a indietreggiare. Perché i sudamericani stanno pensando più a non prenderne che a darne.
“Si difendono in una finale mondiale come avrebbe fatto l’umile Cremonese sul campo di una milanese o della Juventus”, racconta ancora Brera. “All’inizio – racconta il 10 argentino – Buchwald mi tirò subito un calcio, tanto per farmi capire come sarebbe andata la partita, ma l’arbitro non lo fischiò, come non fischiò per nessun fallo a nostro favore per i primi 25 minuti. Alla fine del primo tempo mi avvicinai al messicano e lo pregai: “Fischia qualcosa, per favore”. E lui fischiò: cartellino rosso al Negro Monzón per un fallo su Klinsmann”. È il 65’ quando Monzón, che all’intervallo aveva sostituito Ruggeri, entra in scivolata sull’attaccante tedesco. L’intervento è scomposto e il Negro alza la gamba destra per buttare a terra Klinsmann.
“Sappiamo che per le sue stesse caratteristiche Monzón è uno che gioca sempre al limite del cartellino rosso”, si rammarica il telecronista argentino. L’Albiceleste, già molto stanca, si ritrova anche in inferiorità numerica. Gli ultimi minuti assomigliano a un flipper, con il pallone che schizza di piede in piede senza nessun senso logico. A 5’ dalla fine Matthäus avanza sulla trequarti e lascia partire un filtrante per Völler. Il tedesco volante entra in area e vola davvero. Sensini cerca di togliergli il pallone e lo colpisce. Il contatto c’è, ma qualcuno pensa che l’arbitro, il messicano Edgardo Codesal, sia stato particolarmente generoso. Il direttore di gara è uno che si è fatto tanti nemici, ma anche qualche amico importante. La stampa lo definisce un raccomandato di ferro. Il suocero, Javier Arriaga, è uno degli esponenti più importanti della commissione arbitrale della Fifa. Sarebbe stato proprio Arriaga a spingere per far arrivare Codesal, professione medico generico in un ospedale di Città del Messico, al Mondiale. Anche se a Tirrenia non aveva brillato nei test atletici e aveva dovuto ripeterli prima del Mondiale.
Brehme sistema la palla sul dischetto, mira, segna. Anche se Goycoechea era riuscito a intuire per l’ennesima volta. Negli ultimi minuti c’è tempo per l’espulsione di Dezotti (colpo in faccia a Kohler) e per l’ammonizione di Maradona. A fine partita esplode la gioia di due Nazioni. La Germania è campione del Mondo, l’Italia ha ottenuto la sua vendetta. Ma a qualcuno non basta ancora. Sul maxischermo compare la foto di Maradona. E l’Olimpico esplode in un’altra bordata di fischi. “Alla fine della partita scoppiai a piangere senza vergogna – racconta ancora Diego – perché avrei dovuto nascondere le lacrime se era ciò che sentivo? Bilardo mandò Goycoechea a coprirmi, perché non mi vedessero piangere. Ma perché? Mi dava molta tristezza che la gente non capisse, che continuassero a fischiare. Che volevano ancora? Buttarmi per terre e prendermi a calci? Già mi avevano battuto, questo doveva bastare”.
Ma le parole più pesanti Maradona le indirizza verso l’arbitro. “Dovevo spiegare a mia figlia che nel calcio c’era la mafia. Non la mafia che uccide, ma quella capace di darti un rigore contro che non esiste e di negartelo quando c’è. Proprio questo era successo tra Germania e Argentina: il signor Egdardo Codesal, arbitro messicano mandato chissà da chi, aveva creduto di aver visto benissimo come Sensini aveva fatto ruzzolare Völler, in compenso non aveva visto come Matthäus aveva messo giù Calderón, nell’azione immediatamente prima”. Intorno alle 22 Matthäus bacia la Coppa del Mondo e la alza al cielo di Roma. L’Argentina, invece, non arriverà mai al ristorante di pesce che avrebbe dovuto ospitare la festa mondiale a Fiumicino. Mangeranno a Trigoria. Spaghetti al sugo e pollo lesso. È la fine di un sogno, ma non delle polemiche. “Avrei potuto espellere Maradona già prima dell’inizio della partita – dirà 30 anni dopo Egdardo Codesalma – ho capito il momento e ho deciso di gestire la situazione. Ho visto Maradona fare cose in campo degne della mia ammirazione e del mio rispetto. Come giocatore era il migliore, ma fuori è una persona spiacevole. Una delle peggiori che abbia mai incontrato in vita mia”.