E’ una storia da film. Un copione degno di 007. Ogni mossa, ogni parola, ogni incontro di Julian Assange, quando si trovava ancora nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, è stata spiata, registrata, filmata ed è, in tutta probabilità, finita in mano all’intelligence degli Stati Uniti, che ormai da dieci anni cercano di mettere le mani sul fondatore di WikiLeaks, dopo che ha rivelato i documenti segreti del governo americano. La storia ha dell’incredibile, ed è al centro di un documentario del canale europeo ARTE, che oggi i lettori di Fattoquotidiano.it possono vedere sul nostro sito.
I fatti raccontati nel film sono da mesi oggetto di una complessa indagine giudiziaria del magistrato spagnolo José de la Mata dell’Audiencia Nacional. Due settimane fa, il quotidiano spagnolo El Paìs ha rivelato che si è mossa anche la magistratura di Berlino, in quanto tra le persone colpite, ci sarebbero anche tre giornalisti della TV di stato tedesca, che avevano fatto visita al fondatore di WikiLeaks.
Le attività di spionaggio e sorveglianza non sembrano aver risparmiato nessuno. Nei filmati, nelle registrazioni e nelle fotografie si vedono i medici che visitavano Julian Assange nell’ambasciata, i suoi avvocati, la sua compagna, Stella Morris, e il loro bambino piccolo, Gabriel, i diplomatici ecuadoriani, i giornalisti di WikiLeaks e noi giornalisti che da anni lavoriamo ai documenti segreti dell’organizzazione di Assange.
Chi scrive si è ritrovata filmata e con i telefoni aperti in segreto. I nostri incontri sono stati registrati a nostra insaputa e tutti i nostri dispositivi elettronici fotografati, inclusi i caricabatterie dei cellulari, i power bank per la ricarica, i registratori digitali, tutte le memorie USB e il nostro telefono “dumbphone” (un cellulare che non è uno smartphone) è stato aperto in due, la scheda sim estratta e il codice IMEI (l’identificativo unico dei telefonini) fotografato. Ad oggi, non è chiaro se la documentazione giornalistica molto delicata, che avevamo salvato in forma criptata nelle memorie USB, sia stata copiata e decifrata.
L’AMBASCIATA SUPERSORVEGLIATA
Tutto è accaduto nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, nel quartiere di Knightsbridge a due passi dai magazzini Harrods, in cui Julian Assange è rimasto confinato dal 19 giugno 2012 all’11 aprile 2019, quando è stato arrestato dalle autorità inglesi. Assange godeva del diritto di asilo, che gli era stato concesso nel 2012 dall’allora presidente Rafael Correa, ma nell’aprile del 2019, l’attuale leader ecuadoriano, Lenin Moreno, gli ha revocato la protezione e ha permesso agli agenti di Scotland Yard di entrare nell’edificio e di arrestarlo.
Oggi il fondatore di WikiLeaks si trova a Londra, nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, in attesa che il processo di estradizione, attualmente in corso, decida sul suo destino. Gli Stati Uniti vogliono estradarlo per aver pubblicato oltre 700mila documenti segreti: il video Collateral Murder, in cui si vedeva un elicottero americano Apache sparare su civili inermi a Baghdad; 76mila report sulla guerra in Afghanistan e 391.832 su quella in Iraq; 251.287 cablo della diplomazia Usa e infine 779 schede sui detenuti di Guantanamo. Se gli USA riusciranno a estradarlo, Assange passerà la sua vita in carcere, visto che rischia 175 anni di prigione per aver rivelato quei file, che hanno permesso di documentare torture sistematiche e crimini di guerra, come per esempio decine di migliaia di morti civili causate dalla guerra in Iraq mai conteggiate prima ed emerse solo grazie agli Iraq War Logs.
UN’AZIENDA FIDATA?
Le attività di spionaggio contro Julian Assange, la sua compagna, i suoi collaboratori, i medici, avvocati e i giornalisti, sono emerse l’anno scorso. A rivelarle per primo è stato il quotidiano spagnolo El Paìs. A condurre le attività di sorveglianza e spionaggio è stata la stessa azienda di security, UC Global, che l’allora presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, aveva ingaggiato per proteggere l’ambasciata subito dopo che Assange vi si era rifugiato per chiedere protezione.
In quel periodo la sede diplomatica londinese mancava delle più basilari dotazioni di sicurezza, per questo Correa ingaggiò l’impresa spagnola di security, UC Global, per garantire protezione all’edificio, al personale diplomatico e al nuovo “ospite”. Formalmente, UC Global operava sulla base di un contratto con il Senain, i servizi di intelligence dell’Ecuador e probabilmente, nell’arruolarla, Correa aveva agito con le migliori intenzioni: UC Global, infatti, proteggeva anche la sua famiglia, e quindi era considerata affidabile.
Nel corso degli anni, però, l’azienda ha messo in atto piani sempre più discutibili, tanto che secondo alcuni testimoni protetti e al centro dell’indagine spagnola, il capo della UC Global, David Morales, avrebbe confidato loro la possibilità di ricorrere a soluzioni estreme, tipo avvelenare Julian Assange o lasciare aperta la porta dell’ambasciata di notte, simulando una distrazione, per consentire il suo rapimento.
I documenti dell’inchiesta spagnola lasciano emergere che Morales faceva richieste ai suoi dipendenti a dir poco singolari. Per esempio, voleva conoscere la composizione esatta dei muri della stanza di Julian Assange incluso il tipo di mattoni e cemento, e chiedeva di migliorare l’audio delle telecamere. Noi visitatori non eravamo consapevoli che le telecamere potessero registrare le conversazioni di nascosto, oltre che fare filmati.
Secondo le dichiarazioni dei testimoni protetti, il capo della UC Global avrebbe fatto più volte riferimento a “los amigos americanos”, ovvero l’intelligence americana per cui certe informazioni sarebbero state raccolte. Di fatto, in alcune email interne della UC Global, Morales chiede ai suoi sottoposti di fare attenzione e di trattare le informazioni sui suoi viaggi “specialmente quelli negli Usa” in modo confidenziale. E alcune delle sue richieste sembrano avere poco senso, a meno che certe informazioni non venissero passate a terze parti.
Da una delle comunicazioni interne della UC Global, emerge anche che l’azienda stesse valutando di creare un sistema che permettesse di sorvegliare quanto accadeva dentro l’ambasciata in streaming con tre possibilità di accesso “una para Ecuador, una para nosotros y otra para X”, ovvero un accesso da remoto per l’Ecuador, uno per l’azienda e un altro per un non meglio identificato paese X.
I testimoni protetti hanno riferito che Morales avrebbe richiesto di inviare i materiali raccolti a un server a cui risulterebbero accessi dagli Stati Uniti.
UN BEBE’ IN FASCE. EPPURE GIA’ SPIATO
Neppure il bambino piccolissimo di Julian Assange, avuto dalla compagna Stella Morris negli anni in cui si trovava dentro l’ambasciata, si sarebbe salvato da queste attività di spionaggio: uno dei testimoni ha raccontato di aver ricevuto l’incarico di rubare un pannolino del bambino per poter fare un test del Dna e stabilire la paternità del neonato. Il piano sarebbe saltato solo perché uno degli uomini della security UC Global avrebbe avvertito la madre di non portare più il piccolo in ambasciata a fare visita al padre.
Anche gli incontri con gli avvocati appaiono ripresi e registrati, un aspetto questo che porta a chiedersi: che speranza ha, Julian Assange, di poter avere un giusto processo, se le autorità americane conoscono già ogni dettaglio della sua strategia legale?
Le comunicazioni interne dell’impresa spagnola dimostrano che il capo della UC Global, David Morales, era particolarmente interessato ad acquisire informazioni sugli avvocati Baltasar Garzon, Jennifer Robinson, Carlos Poveda e Renata Avila; sulla giornalista Sarah Harrison, che nel 2013 volò a Hong Kong per aiutare Edward Snowden a ottenere asilo politico; sui giornalisti e filmmaker Juan e Jose Passarelli e sul filosofo croato Srecko Horvat. Attenzione speciale, ovviamente, era riservata alla compagna di Julian Assange, Stella Morris, “Se è necessario, voglio una persona dedicata [a occuparsi di lei, ndr] a tempo pieno”, scrive Morales ai suoi dipendenti.
Sebbene i fatti si siano svolti a Londra, l’indagine sulla UC Global è portata avanti dalla magistratura di Madrid, che ha competenza territoriale in quanto la UC Global ha sede in Spagna ed è lì che sarebbe stato denunciato un tentativo di estorsione legato ai materiali riservati raccolti dall’azienda, che ha innescato l’inchiesta penale. A indagare è l’Audiencia Nacional, un organo giudiziario che ha competenza su tutto il territorio spagnolo e che si occupa dei reati più gravi, come terrorismo, mafia e narcotraffico.
L’indagine, però, si potrebbe allargare. Due settimane fa, infatti, il quotidiano El Paìs ha rivelato che anche la magistratura tedesca si sta interessando al caso e ha chiesto accesso alla documentazione, dopo che è emerso che tre giornalisti della TV di stato tedesca, John Goetz, Reiko Pinkert e Antonius Kempmann, potrebbero essere stati sorvegliati.
(video di ARTE in italiano, versione italiana della piattaforma di documentari e concerti arte.tv)
Mondo - 8 Luglio 2020
Julian Assange spiato: una storia da film. Su Arte.tv il documentario sulle operazioni di spionaggio contro il fondatore di WikiLeaks
La Playlist Mondo
Sul nostro sito il film documentario di ARTE.tv sulle operazioni di spionaggio contro il fondatore di WikiLeaks, i suoi collaboratori, medici, avvocati e i giornalisti che lavorano ai file segreti di WikiLeaks. Dall’indagine in corso in Spagna, è emerso che alcuni testimoni protetti hanno rivelato piani estremi, come la possibilità di avvelenare Julian Assange.
E’ una storia da film. Un copione degno di 007. Ogni mossa, ogni parola, ogni incontro di Julian Assange, quando si trovava ancora nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, è stata spiata, registrata, filmata ed è, in tutta probabilità, finita in mano all’intelligence degli Stati Uniti, che ormai da dieci anni cercano di mettere le mani sul fondatore di WikiLeaks, dopo che ha rivelato i documenti segreti del governo americano. La storia ha dell’incredibile, ed è al centro di un documentario del canale europeo ARTE, che oggi i lettori di Fattoquotidiano.it possono vedere sul nostro sito.
I fatti raccontati nel film sono da mesi oggetto di una complessa indagine giudiziaria del magistrato spagnolo José de la Mata dell’Audiencia Nacional. Due settimane fa, il quotidiano spagnolo El Paìs ha rivelato che si è mossa anche la magistratura di Berlino, in quanto tra le persone colpite, ci sarebbero anche tre giornalisti della TV di stato tedesca, che avevano fatto visita al fondatore di WikiLeaks.
Le attività di spionaggio e sorveglianza non sembrano aver risparmiato nessuno. Nei filmati, nelle registrazioni e nelle fotografie si vedono i medici che visitavano Julian Assange nell’ambasciata, i suoi avvocati, la sua compagna, Stella Morris, e il loro bambino piccolo, Gabriel, i diplomatici ecuadoriani, i giornalisti di WikiLeaks e noi giornalisti che da anni lavoriamo ai documenti segreti dell’organizzazione di Assange.
Chi scrive si è ritrovata filmata e con i telefoni aperti in segreto. I nostri incontri sono stati registrati a nostra insaputa e tutti i nostri dispositivi elettronici fotografati, inclusi i caricabatterie dei cellulari, i power bank per la ricarica, i registratori digitali, tutte le memorie USB e il nostro telefono “dumbphone” (un cellulare che non è uno smartphone) è stato aperto in due, la scheda sim estratta e il codice IMEI (l’identificativo unico dei telefonini) fotografato. Ad oggi, non è chiaro se la documentazione giornalistica molto delicata, che avevamo salvato in forma criptata nelle memorie USB, sia stata copiata e decifrata.
L’AMBASCIATA SUPERSORVEGLIATA
Tutto è accaduto nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, nel quartiere di Knightsbridge a due passi dai magazzini Harrods, in cui Julian Assange è rimasto confinato dal 19 giugno 2012 all’11 aprile 2019, quando è stato arrestato dalle autorità inglesi. Assange godeva del diritto di asilo, che gli era stato concesso nel 2012 dall’allora presidente Rafael Correa, ma nell’aprile del 2019, l’attuale leader ecuadoriano, Lenin Moreno, gli ha revocato la protezione e ha permesso agli agenti di Scotland Yard di entrare nell’edificio e di arrestarlo.
Oggi il fondatore di WikiLeaks si trova a Londra, nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, in attesa che il processo di estradizione, attualmente in corso, decida sul suo destino. Gli Stati Uniti vogliono estradarlo per aver pubblicato oltre 700mila documenti segreti: il video Collateral Murder, in cui si vedeva un elicottero americano Apache sparare su civili inermi a Baghdad; 76mila report sulla guerra in Afghanistan e 391.832 su quella in Iraq; 251.287 cablo della diplomazia Usa e infine 779 schede sui detenuti di Guantanamo. Se gli USA riusciranno a estradarlo, Assange passerà la sua vita in carcere, visto che rischia 175 anni di prigione per aver rivelato quei file, che hanno permesso di documentare torture sistematiche e crimini di guerra, come per esempio decine di migliaia di morti civili causate dalla guerra in Iraq mai conteggiate prima ed emerse solo grazie agli Iraq War Logs.
UN’AZIENDA FIDATA?
Le attività di spionaggio contro Julian Assange, la sua compagna, i suoi collaboratori, i medici, avvocati e i giornalisti, sono emerse l’anno scorso. A rivelarle per primo è stato il quotidiano spagnolo El Paìs. A condurre le attività di sorveglianza e spionaggio è stata la stessa azienda di security, UC Global, che l’allora presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, aveva ingaggiato per proteggere l’ambasciata subito dopo che Assange vi si era rifugiato per chiedere protezione.
In quel periodo la sede diplomatica londinese mancava delle più basilari dotazioni di sicurezza, per questo Correa ingaggiò l’impresa spagnola di security, UC Global, per garantire protezione all’edificio, al personale diplomatico e al nuovo “ospite”. Formalmente, UC Global operava sulla base di un contratto con il Senain, i servizi di intelligence dell’Ecuador e probabilmente, nell’arruolarla, Correa aveva agito con le migliori intenzioni: UC Global, infatti, proteggeva anche la sua famiglia, e quindi era considerata affidabile.
Nel corso degli anni, però, l’azienda ha messo in atto piani sempre più discutibili, tanto che secondo alcuni testimoni protetti e al centro dell’indagine spagnola, il capo della UC Global, David Morales, avrebbe confidato loro la possibilità di ricorrere a soluzioni estreme, tipo avvelenare Julian Assange o lasciare aperta la porta dell’ambasciata di notte, simulando una distrazione, per consentire il suo rapimento.
I documenti dell’inchiesta spagnola lasciano emergere che Morales faceva richieste ai suoi dipendenti a dir poco singolari. Per esempio, voleva conoscere la composizione esatta dei muri della stanza di Julian Assange incluso il tipo di mattoni e cemento, e chiedeva di migliorare l’audio delle telecamere. Noi visitatori non eravamo consapevoli che le telecamere potessero registrare le conversazioni di nascosto, oltre che fare filmati.
Secondo le dichiarazioni dei testimoni protetti, il capo della UC Global avrebbe fatto più volte riferimento a “los amigos americanos”, ovvero l’intelligence americana per cui certe informazioni sarebbero state raccolte. Di fatto, in alcune email interne della UC Global, Morales chiede ai suoi sottoposti di fare attenzione e di trattare le informazioni sui suoi viaggi “specialmente quelli negli Usa” in modo confidenziale. E alcune delle sue richieste sembrano avere poco senso, a meno che certe informazioni non venissero passate a terze parti.
Da una delle comunicazioni interne della UC Global, emerge anche che l’azienda stesse valutando di creare un sistema che permettesse di sorvegliare quanto accadeva dentro l’ambasciata in streaming con tre possibilità di accesso “una para Ecuador, una para nosotros y otra para X”, ovvero un accesso da remoto per l’Ecuador, uno per l’azienda e un altro per un non meglio identificato paese X.
I testimoni protetti hanno riferito che Morales avrebbe richiesto di inviare i materiali raccolti a un server a cui risulterebbero accessi dagli Stati Uniti.
UN BEBE’ IN FASCE. EPPURE GIA’ SPIATO
Neppure il bambino piccolissimo di Julian Assange, avuto dalla compagna Stella Morris negli anni in cui si trovava dentro l’ambasciata, si sarebbe salvato da queste attività di spionaggio: uno dei testimoni ha raccontato di aver ricevuto l’incarico di rubare un pannolino del bambino per poter fare un test del Dna e stabilire la paternità del neonato. Il piano sarebbe saltato solo perché uno degli uomini della security UC Global avrebbe avvertito la madre di non portare più il piccolo in ambasciata a fare visita al padre.
Anche gli incontri con gli avvocati appaiono ripresi e registrati, un aspetto questo che porta a chiedersi: che speranza ha, Julian Assange, di poter avere un giusto processo, se le autorità americane conoscono già ogni dettaglio della sua strategia legale?
Le comunicazioni interne dell’impresa spagnola dimostrano che il capo della UC Global, David Morales, era particolarmente interessato ad acquisire informazioni sugli avvocati Baltasar Garzon, Jennifer Robinson, Carlos Poveda e Renata Avila; sulla giornalista Sarah Harrison, che nel 2013 volò a Hong Kong per aiutare Edward Snowden a ottenere asilo politico; sui giornalisti e filmmaker Juan e Jose Passarelli e sul filosofo croato Srecko Horvat. Attenzione speciale, ovviamente, era riservata alla compagna di Julian Assange, Stella Morris, “Se è necessario, voglio una persona dedicata [a occuparsi di lei, ndr] a tempo pieno”, scrive Morales ai suoi dipendenti.
Sebbene i fatti si siano svolti a Londra, l’indagine sulla UC Global è portata avanti dalla magistratura di Madrid, che ha competenza territoriale in quanto la UC Global ha sede in Spagna ed è lì che sarebbe stato denunciato un tentativo di estorsione legato ai materiali riservati raccolti dall’azienda, che ha innescato l’inchiesta penale. A indagare è l’Audiencia Nacional, un organo giudiziario che ha competenza su tutto il territorio spagnolo e che si occupa dei reati più gravi, come terrorismo, mafia e narcotraffico.
L’indagine, però, si potrebbe allargare. Due settimane fa, infatti, il quotidiano El Paìs ha rivelato che anche la magistratura tedesca si sta interessando al caso e ha chiesto accesso alla documentazione, dopo che è emerso che tre giornalisti della TV di stato tedesca, John Goetz, Reiko Pinkert e Antonius Kempmann, potrebbero essere stati sorvegliati.
(video di ARTE in italiano, versione italiana della piattaforma di documentari e concerti arte.tv)
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(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.