“Questo succede con la Libia: ci danno la versione distillata“. E ancora: “Non immaginate l’inferno che si vive lì”, dove i migranti sono tenuti in “lager di detenzione” e partono “solo con la speranza”. È Dio “che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito, chiedendo di poter sbarcare“. Usa parole durissime papa Francesco durante l’omelia della messa celebrata in occasione del settimo anniversario della sua visita a Lampedusa. Un messaggio contro le ingiustizie, “peccato da cui anche noi, cristiani di oggi, non siamo immuni”, che arriva proprio mentre i 180 naufraghi salvati dalla Ocean Viking si trovano a bordo della nave Moby Zazà per trascorrere 14 giorni di quarantena.
“Io ricordo quel giorno di sette anni fa, proprio al Sud dell’Europa, in quell’isola”, ha spiegato il pontefice nella cappella di Casa Santa Marta, parlando a braccio del suo incontro con alcuni migranti arrivati in Italia dopo la traversata del mediterraneo. Uno raccontava cose terribili nella sua lingua e l’interprete sembrava tradurre bene ma, mentre “il primo parlava a lungo, la traduzione era breve. Pensai: questa lingua per esprimersi ha dei giri più lunghi”. Una volta tornato a Roma, però, una signora – che “era figlia di etiopi e capiva la lingua e aveva guardato l’incontro” – spiegò allo stesso Francesco che “quello che il traduttore ti ha detto non è che la quarta parte delle torture e delle sofferenze che hanno vissuto loro”. Da qui l’attacco alle notizie che arrivano in Europa su ciò che accade sulle coste africane: “Mi hanno dato la versione distillata. Questo succede con la Libia: ci danno la versione distillata”.
Il pontefice ha poi dato voce al suo dolore per le condizioni di chi parte in cerca di una vita migliore, citando il versetto del Vangelo che recita: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me“. Questo vale “nel bene e nel male”, ha aggiunto, suggerendo di usarlo “come punto fondamentale del nostro esame di coscienza che facciamo tutti i giorni. Penso alla Libia, ai campi di detenzione, agli abusi e alle violenze di cui sono vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti“.
Nel corso dell’omelia, che a causa delle misure anti-Covid si è svolta solo in presenza del personale della sezione Migranti e Rifugiati del dicastero per lo Sviluppo umano integrale, papa Francesco è tornato ad attaccare anche la “cultura del benessere“. A suo dire “ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza“.