Qui farò l’elogio della follia rossonera. Se è vero, come sostiene il grande Erasmo da Rotterdam, che i pazzi sono più felici dei saggi, e che gli uomini più distanti dalla felicità sono quelli che fan studio di sapienza, dico che ieri notte il popolo casciavit di San Siro – orrendamente deserto per colpa del coronavirus – ha davvero goduto momenti di assoluta gioia e sollazzo, dal minuto 62 al minuto 67 della “storica partita” (così ha scritto Mario Sconcerti, come al solito amante di popolari iperbole) fra il Milan del liquidando Stefano Pioli e la Juventus dell’insopportabile Maurizio Sarri perché il David rossonero ha matato il Golia juventino rifilandogli tre sassate in cinque minuti, tre gol diconsi tre e così facendo ha ribaltato un risultato che sino a quel momento vedeva la Juventus padrona (quasi) del campo e del risultato, cioè un secco e apparentemente irrimediabile 2-0.
Alla fine di quei cinque micidiali minuti di rivolta milanista, la Juve pareva al di là del bene e del male, privata brutalmente di quella ostentata “volontà di potenza” che almeno negli stadi italioti era diventata una sorta di marchio di fabbrica. Oggi la regina del calcio tricolore è nuda. Domandarono ad un savio: “Qual è la cosa di cui tutti hanno bisogno?”. “La buona fortuna”, lui rispose (leggetevi il bellissimo Libro delle Delizie di Yoseph Ibn Zabara, scrittore ebreo sefardita che visse in Spagna nel dodicesimo secolo). Ecco: il Milan, finalmente, ha avuto fortuna. Un fallo di mano in area bianconera attribuito al suo bravo attaccante croato Rebic è stato corretto, grazie al Var, in un fallo di mano del difensore Leonardo Bonucci. Rigore, trasformato dall’implacabile Zlatan Ibrahimovic alla faccia dei consigli di Ronaldo (in inglese) urlati al suo portiere polacco, “lo conosci, sai come tira…”. Dovevate vedere il ghigno soddisfatto di Ibra. Doppia punizione. Per la Juve. Per Bonucci, che era stato ingaggiato dal Milan e poi l’aveva lestamente abbandonato per ritornare in maglia bianconera.
Son cose che lasciano il segno. Non esiste pregio più grande della verità: martedì 7 luglio giorno di san Claudio il Milan corsaro allenato dal bravissimo Pioli ha frantumato l’immagine della Juventus dominatrice. L’ha riportata a terra. Anzi, l’ha sbattuta per terra. Una serata di pura, esaltante follìa calcistica, eversiva nella sostanza e nella forma, in barba ai pronostici e alla sicumera di un club che il 3 agosto vincerà il suo ottavo scudetto consecutivo, ma per mancanza d’avversari degni di questo nome. E con un grande rammarico: se il Milan avesse ingaggiato Pioli al posto dell’esonerato Marco Giampaolo, e se “io ci fossi stato sin dall’inizio, l’avrebbe vinto il Milan questo campionato”, sostiene Zlatan, e forse non ha tutti i torti. Pioli ha raccattato un Milan al quattordicesimo posto, ora lotta per il quinto. Grazie alla pausa Covid, il Milan è ritornato più tonico fisicamente e soprattutto mentalmente. E’ una squadra. Alcuni giocatori si sono trasformati. Come Franck Kessiè, che martedì sera ha segnato il momentaneo pareggio 2-2 grazie ad uno scaltro e repentino passaggio di Ibra. L’ivoriano squassa il centrocampo, esibisce forza e continuità, ed ha un atteggiamento positivo.
Purtroppo, dietro a questo successo si nascondono tante magagne. Perché mandar via un bravo allenatore come Pioli? E, soprattutto, perché umiliarlo facendo sapere che il tedesco Ralf Rangnick del Lipsia è ormai dietro l’uscio? L’amministratore delegato Gazidis si sta dimostrando sempre più dittatoriale, pensa che il manager tedesco del gruppo Red Bull sia l’uomo giusto per rilanciare il Milan. Fra le tante “pensate” c’è anche quella di mandar via pure Kessié, per far cassa. Non solo: altri buoni giocatori, come Jack Bonaventura sono già con un piede fuori dalla squadra, eppure giocano col cuore – non con la rabbia – e dimostrano grande professionalità. Tra i tanti disastri annunciati, il probabile addio di Paolo Maldini. L’ex capitano ha infatti sempre detto che Rangnick “non è l’uomo adatto”.
E ancor più esplicito è stato ieri notte, al termine della partita da lui giocata magistralmente, il grande Ibrahimovic: “C’è ancora un mese per divertirmi. Ci sono cose che stanno succedendo qua di cui non siamo in controllo. Mi dispiace per i tifosi”, non lo vedranno forse più, forse è “l’ultima volta. Perché può essere l’ultima volta? Leggi tra le linee…”. A chi gli chiedeva il segreto del miracoloso recupero dall’infortunio “visto che non sei più giovane”, Ibra ha risposto sornione: “Sono vecchio, non è un segreto, ma è solo un numero… non ho il fisico di prima, faccio quello che posso fare, non posso fare quello che facevo a vent’anni, ma ora gioco con intelligenza”. Come dire, la qualità sopperisce ai limiti anagrafici: “Mi alleno bene. Ho un buon equilibrio. Sto bene, cerco di aiutare la squadra in tutti i modi. Io presidente allenatore e giocatore. Se fossi stato qui dal primo giorno avremmo vinto lo scudetto…”. Ibrahimovic è il valore aggiunto del nuovo Milan, ma lui, che ha l’autostima a mille, avvisa i naviganti: “Non sto qua a fare la mascotte ma perché voglio portare i risultati”.
Dopo il lockdown, il Milan ha vinto quattro volte e pareggiato con la Spal a Ferrara: ma ha battuto Roma, Lazio e Juventus. Ora lo aspetta il Napoli dell’ex Gattuso. Parafrasando una filastrocca di Gianni Rodari, “la tempesta ed il tifone/mi fanno solletico al timone…”.