Mimmo Lucano non doveva essere arrestato. Lo ha stabilito il tribunale del Riesame di Reggio Calabria dopo il gip che, pur disponendo gli arresti domiciliari (poi revocati), nell’ottobre 2018 aveva cassato tre quarti dell’inchiesta “Xenia”. La misura cautelare nei confronti dell’ex sindaco di Riace per associazione a delinquere finalizzata all’illecita gestione dei fondi destinati all’accoglienza dei migranti, dunque, non doveva essere presa.

Quadro indiziario inconsistente” e “assenza di riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di procura (di Locri, ndr), fondate su elementi congetturali o presuntivi”. Ma anche “erroneità del calcolo effettuato dalla polizia giudiziaria in punto di profitto del reato” e inutilizzabilità dei verbali di interrogatorio di alcuni soggetti, come Francesco Ruga, il quale ha accusato Lucano di averlo costretto a emettere fatture false. In realtà il testimone Ruga “avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie previste dal codice di rito”. In altre parole, oltre a essere “inattendibile” in quanto “pare evidente l’atteggiamento di astio” nei confronti dell’ex sindaco, l’accusatore di Lucano doveva essere iscritto nel registro degli indagati e finire anche lui nell’inchiesta della procura di Locri. Così non è stato e oggi le frasi contenute nella sentenza del Riesame ridimensionano il lavoro del procuratore Luigi D’Alessio e del pm Michele Permunian che avevano chiesto l’arresto di Lucano per tutti i reati contestati nel processo “Xenia”.

“Il pm avrebbe dovuto vagliare con maggiore rigore i dati compendiati e riscontrarli con ulteriori elementi di segno positivo”. E ancora: “La prospettazione accusatoria, come già evidenziato dal gip, avrebbe meritato un maggiore sforzo investigativo teso ad offrire elementi di riscontro, posto che l’esistenza e la rendicontazione delle fatture in argomento non equivale a sostenere automaticamente che le stesse siano state estorte dal Lucano e dal Capone”, il presidente dell’associazione “Città Futura” che si occupava dei progetti di accoglienza dei migranti. Dopo aver letto gli atti dell’inchiesta, condotta dalla guardia di finanza, il Riesame ha dato ragione agli avvocati Antonio Mazzone e Andrea Daqua, difensori Lucano, dichiarando inammissibile l’appello per alcuni reati e rigettando tutto il resto.

“Il compendio indiziario a carico degli indagati appare parzialmente contraddittorio e non univoco”, scrive il giudice Antonio Francesco Genovese che, riportando alcune considerazioni del gip, ribadisce che non ci sono “condotte penalmente rilevanti e la stabilità della compagine associativa appare indimostrata”. In sostanza il Riesame, pur ammettendo una “modalità di gestione non cristallina delle risorse pubbliche, in assenza di registri di rendicontazione del denaro prelevato”, è d’accordo con gli avvocati di Lucano secondo cui “la gestione poco trasparente delle risorse non può tradursi automaticamente in condotte penalmente rilevanti, in assenza della prova di un accordo stabile e duraturo tra i presunti associati e della consapevolezza degli stessi di far parte del contestato sodalizio”.

All’indomani dell’arresto, la procura aveva accusato Lucano di una truffa “con conseguente ingiusto profitto di dieci milioni di euro”. Oggi scopriamo che non è così e che i calcoli erano sbagliati. Se truffa c’è stata lo stabilirà in caso il processo che si sta celebrando davanti al tribunale di Locri. Di certo nessuno può parlare di un ingiusto profitto di dieci milioni di euro come paventato dagli inquirenti. Semmai di 343mila euro cioè “la differenza – scrive il Riesame – tra quanto ottenuto e le spese realmente effettuate”.

Sul piano cautelare, infine, per il Riesame non esiste più il “periculum criminis”. A Riace – scrivono i giudici – “risultano ormai venute meno le condizioni esistenti all’epoca dei fatti contestati, in quanto non esistono più progetti di accoglienza dei migranti, Lucano non è più sindaco e né, all’esito delle elezioni, fa parte del Consiglio comunale, l’attuale Giunta esprime ideologie politiche opposte a quelle della precedente amministrazione e le diverse associazioni sono ormai inoperanti”. Lucano, lette le motivazioni della sentenza del Riesame, ha affermato: “Il coraggio per continuare a credere che esiste una giustizia vera me l’hanno dato tutte le persone che sono state vicine a Riace in questi ultimi due anni sconvolgenti, a partire dagli avvocati Mazzone e Daqua”.

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