di Diego Battistessa*
Il nuovo report sulla situazione dei diritti umani in Venezuela realizzato da Michelle Bachelet (Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani) e reso pubblico il passato 2 luglio questa volta non ha fatto “tanto rumore”. Il Venezuela è sotto i riflettori dell’Italia e dell’Europa già da diverse settimane e le violazioni dei diritti umani non sembrano più suscitare così tanto scalpore.
Il presunto finanziamento di Hugo Chavez al neonato Movimento 5 Stelle nel 2010, smentito dallo stesso M5S, e il braccio di ferro politico di Nicolas Maduro con la Ue degli ultimi giorni (con annesso incidente diplomatico) hanno accaparrato la scena. Nonostante ciò, è necessario tornare ad approfondire quello che sta succedendo nel paese della rivoluzione bolivariana che affronta oggi (come il resto del mondo) anche la crisi del Covid-19.
Le 17 pagine del report analizzano i fatti accaduti tra giugno 2019 e maggio 2020, denunciando esecuzioni sommarie, torture, sparizioni forzate e ancora una volta la prassi della persecuzione alla dissidenza politica accompagnata da incarceramenti arbitrari. Un quadro generale molto grave che dimostra come la situazione non sia certo migliorata rispetto a quanto denunciato nel precedente report del 4 luglio 2019.
Questa volta Bachelet non fa specifico riferimento alla condizione delle donne, ma altre organizzazioni e la stessa Assemblea Nazionale (alla cui guida si trova Juan Guaidó) hanno recentemente parlato del tema. Proprio l’Assemblea Nazionale ha reso noto a fine giugno alcuni dati relativi al fenomeno della tratta di esseri umani (per la maggior parte donne) verso la vicina Trinidad e Tobago. Si parla di quasi 4000 vittime che sono state trafficate dalla Güiria (città portuale dello Stato Sucre in Venezuela) verso Trinidad e Tobago a partire dal 2014.
#Denuncia | Las mujeres venezolanas hoy están siendo víctimas de redes de trata de personas como consecuencia de la vulnerabilidad generada por la Emergencia Humanitaria Compleja #NoMásTrata pic.twitter.com/j1jiHLdtIo
— Asamblea Nacional (@AsambleaVE) June 26, 2020
Le mafie della zona attirano le donne (spesso adolescenti) con promesse di lavoro approfittando della drammatica situazione economica e sociale nella quale versa il Venezuela. Una volta fatte salire sulle imbarcazioni clandestine che lasciano il porto di Güiria dirette a Trinidad e Tobago, vengono tolti loro i documenti e vengono successivamente vendute per 300 dollari alle mafie che operano sull’isola. Dalle indagini, partite dalla denuncia del padre di Omarlys, una giovane di 16 anni venduta come schiava e tragicamente affogata nel naufragio dell’imbarcazione che la stava portando a Trinidad e Tobago, risulterebbe che il 43% delle donne vittime di tratta provengono dallo Stato Sucre.
Altre organizzazioni locali e internazionali, come Utopix e Save the Children, stanno denunciando la grave situazione di vulnerabilità e violenza che soffrono le donne in Venezuela. Utopix, organizzazione che si dedica alla difesa dei diritti delle donne, attraverso uno strumento chiamato Monitor dei femminicidi ha denunciato che solo tra il 16 e il 31 maggio 2020 sono stati commessi 42 femminicidi nel paese. Nello stesso periodo “soltanto” 23 persone sono morte di Covid-19 in Venezuela: i femminicidi per quel periodo sono quindi quasi il doppio delle morti per coronavirus (in totale erano 109 i femminicidi registrati nel 2020 fino al 31 maggio).
D’altro canto, Save the Children il 24 giugno riportava che “da metà a marzo a metà giugno si è registrato un aumento del 33% delle richieste di sostegno per casi di violenza di genere in Venezuela… Un quadro straziante che comporta, nella maggior parte dei casi, violenza psicologica e violenza fisica contro le donne da parte dei propri partner.”
Dati che dimostrano che le donne stanno pagando ancora una volta il prezzo più alto dell’emergenza umanitaria multipla, che colpisce il paese sudamericano. A completare il quadro, il report di maggio 2020 dell’organizzazione Kapé Kapé Minería ilegal en comunidades indígenas” (‘Miniere illegali e comunità indigene’) che rivela le agghiaccianti condizioni di vita alle quali sono sottoposte le comunità indigene nell’Arco Minerario dell’Orinoco (una delle riserve di coltano e oro più grandi del mondo).
Contrabbando, traffico di persone, torture, sequestri, schiavitù infantile, abusi fisici e sessuali, violenza costante da parte di numerose bande armate, estorsioni, omicidi: tutto nella più completa impunità. Il popolo indigeno Pemón (che si divide in tre gruppi principali: Taurepan, Arekuna e Kamarakoto) risulterebbe essere il più colpito da questa massiva violenza che ruota intorno ad un progetto mastodontico (l’Arco Minerario dell’Orinoco) che mira a cambiare visceralmente l’economia venezuelana che si basa oggi (cosi come in passato) completamente sul petrolio. Il governo di Nicolas Maduro difende il progetto definendolo ecomineria, mentre da più parti si parla di ecocidio: un disastro ambientale che riguarda il 12% dell’intero territorio venezuelano.
* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
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