Con un decreto la ministra dei Trasporti e Infrastrutture Paola De Micheli ha affidato ad Autostrade per l’Italia (Aspi) la gestione pro tempore del nuovo ponte Morandi.
Un imprudente, velleitario e ingestibile art. 35 del decreto Milleproroghe (quello che stabiliva la revoca della concessione), una bella foto della famiglia Benetton (maggior azionista di Atlantia, la controllante di Aspi) con le Sardine che hanno salvato Stefano Bonaccini e il governo al tempo stesso, la difficoltà di individuare una struttura pubblica per la conduzione del ponte Morandi diversa da Aspi (che gestisce l’autostrada a monte e a valle dell’infrastruttura), la grave crisi economica che si preannuncia per il post Covid-19, la partita aperta della concessione con il rischio di sborsare penali di subentro miliardarie: tutti questi fattori hanno spinto il governo a compiere questa scelta.
È un risultato figlio di una struttura delle concessioni autostradali che lo Stato aveva creato allo scopo di assicurare l’appetibilità di Autostrade già quando era ancora una società dell’Iri (partecipazioni statali). Anche stavolta, quindi, lo Stato si è mostrato impreparato nel gestire e regolare i rapporti con i concessionari, e in particolare con Aspi: non voler attendere la scadenza della concessione (nel 2038) dopo averla prorogata colpevolmente si sta rivelando un boomerang, ma d’altra parte non sarebbe potuta andare diversamente, con una amministrazione ministeriale (il concedente) che negli anni si è mostrata prona alla volontà del concessionario e incapace di imporre alcuni punti fermi per tutelare l’interesse pubblico.
I punti fermi dovevano essere:
1) la verifica dell’andamento del programma di investimenti, con premi e penali sui tempi concordati;
2) il controllo sull’esecuzione della manutenzione ordinaria e straordinaria;
3) un andamento tariffario regolato in base a un meccanismo che premia gli utenti e lo Stato (più traffico, meno ammortamenti, meno addetti e meno investimenti uguale ad aumenti zero o riduzione dei pedaggi).
Invece, nonostante le “colpe” di Aspi, che ha approfittato di controllori ministeriali dormienti sia nel suo cda che in quello di Atlantia, e grazie alla struttura fragile e priva di strategia del ministero dei Trasporti, oggi è ancora il concessionario a minacciare lo Stato. Non solo: le sue capacità di influenzare la politica e l’opinione pubblica sono ancora enormi.
Il cda di Atlantia infatti ha deliberato un piano di assegnazione gratuita di azioni agli oltre 12mila dipendenti delle società italiane del gruppo. Oltre alla holding, a beneficiare della misura saranno quindi i lavoratori a tempo indeterminato di Autostrade per l’Italia, di Aeroporti di Roma, di Telepass e delle rispettive controllate, oltre che delle altre società del gruppo. A ogni dipendente verranno assegnate 75 azioni di Atlantia, che agli attuali prezzi di Borsa corrispondono a un controvalore di circa mille euro.
Mai visto regalare azioni senza uno scambio sulla produttività con gli addetti. Anzi sì, una volta sola: era il 1997 e il sindacato entrava anche nel board di Alitalia. Un’altra vicenda industriale che si sta ancora trascinando ai danni della comunità.