La sentenza della Corte costituzionale parla chiaro: la decisione del governo con il decreto Genova di non affidare la ricostruzione del Ponte Morandi ad Autostrade per l’Italia “è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del ponte stesso”. Una manutenzione che, come ha ricordato solo due giorni fa l’Anac, era solamente “intorno al 27%” rispetto ai piani finanziari predisposti da Aspi. Il governo quindi aveva ragione e ora deve decidere sulla revoca della concessione alla società del gruppo Benetton. “Un ritardo colpevole“, scrive oggi Repubblica in un commento a firma Stefano Cappellini che accusa Giuseppe Conte e la sua maggioranza di essersi nascosti dietro gli alibi della mediazione e della diplomazia, quando invece sarebbe servito il coraggio di una decisione politica. Un articolo che calca più volte la mano sulla lettera con cui la ministra Paola De Micheli ha annunciato la restituzione “pro tempore” del nuovo ponte di Genova ad Autostrade, ma non parla di quanto ha stabilito ieri la Consulta.

Le 43 vittime del crollo del viadotto il 14 agosto 2018 vengono ricordate per rimarcare l’attendismo del governo: “Un insulto alle orecchie non solo dei parenti delle vittime ma di tutta l’opinione pubblica”, si legge nell’articolo. Nessun accenno però viene fatto alla “eccezionale gravità della situazione” sottolineata dai giudici costituzionali per spiegare perché era legittimo togliere la ricostruzione dalle mani di Autostrade, di fronte a 43 morti sotto a un ponte che si è sbriciolato il giorno prima di Ferragosto. Il perché lo hanno spiegato i periti del Tribunale di Genova: i fili d’acciaio presenti dentro i tiranti della pila 9 del ponte Morandi avevano un “grado elevato di corrosione“. Si erano consumati dal 50 al 100%. Spariti, in pratica. E la manutenzione? “Gli unici interventi efficaci risalgono a 25 anni fa”. E pensare che proprio in un’intervista a Repubblica nel maggio 2019 Luciano Benetton aveva parlato di “una disgrazia imprevedibile e inevitabile”.

Se oggi Repubblica chiede al governo di decidere sulla revoca, quando il Tar aveva disposto il rinvio alla Consulta, i toni in passato erano stati molto diversi. Era il 7 dicembre 2019: nell’articolo è scritto che i giudici amministrativa “demoliscono” il decreto Genova. L’idea è che quella norma sia ormai carta straccia e quindi, si legge, “la partita (sulla revoca, ndr) appare quanto mai aperta“. Il titolo è eloquente: “Un round per Autostrade: ‘Esclusa per colpe non provate'”. Allora il governo non doveva decidere, ma riflettere. E si sottolineava pure che Aspi era stata relegata “alla funzione di bancomat” per la ricostruzione del Morandi. Stessi concetti che il giorno dopo, l’8 dicembre scorso, apparivano anche sul Corriere della Sera: “Questione quanto mai spinosa“, con l’accento sulla “cautela” che Palazzo Chigi deve avere sulla revoca. Un anno prima, il 14 dicembre 2018, quando Aspi annunciava il ricorso al Tar sul decreto Genova, nessuno sottolineava “l’eccezionale gravità della situazione” da cui era nato il provvedimento. Anzi, il Corriere scriveva che Autostrade “per evitare rallentamenti e disagi alla popolazione non chiede la sospensiva al Tar”. E Repubblica: “Autostrade fa ricorso senza chiedere di fermare i lavori”. Non c’è riferimento alle vittime, a quanto dopo 4 mesi dal crollo stava già emergendo da perizie e relazioni ministeriali. Anzi, viene di nuovo scritto che Autostrade per l’Italia, “peraltro esclusa da demolizione e ricostruzione”, dovrà versare i soldi per la ricostruzione.

Autostrade per l’Italia usata come un bancomat. E i Benetton? “Parte lesa“. Di fronte a quanto emerso dall’inchiesta della Procura di Genova sul crollo e a quanto messo nero su bianco per ultimo anche dalla Consulta, la narrazione parallela della stampa negli ultimi due anni è stata costruita anche intorno alle diverse interviste ai membri della famiglia che con Atlantia controlla Aspi. La prima, il 6 settembre 2018, è quella di Gilberto – morto il 22 ottobre 2018 – che 24 giorni dopo crollo aveva rotto il silenzio parlando con il Corriere della Sera. Al quotidiano spiegava di essere sempre stato “convinto della serietà, della competenza e dell’eccellenza del management di Autostrade e di Atlantia”. Poi, sempre sul Corriere, Luciano Benetton ha raccontato nel febbraio 2019 di quella festa a Cortina proseguita mentre già le immagini del Morandi spezzato facevano il giro del mondo: “Non lo rifaremmo. Siamo stati condannati velocemente“. La domanda successiva rivolta all’intervistato riguardava la sua vita tra “barca e arte” di quando aveva lasciato la guida di Benetton.

Poi, a maggio 2019, il colloquio con Repubblica in cui il principale azionista di Atlantia “assolve” la sua controllata “Autostrade per l’Italia”. “Nessun imprenditore può immaginare di risparmiare sulla manutenzione dei ponti e delle autostrade”, diceva Luciano Benetton, aggiungendo che risparmiare “non sarebbe solo un delitto da irresponsabili, sarebbe anche un errore da stupidi”. Nessun contraddittorio, nessun riferimento alle 250 pagine in cui i commissari del Mit sostengono che le misure di prevenzioni adottate sul Morandi “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”. E poi ancora: “Sono sicuro della buona fede dei manager di Autostrade”. Una frase ripetuta dai Benetton fino alla giravolta del primo dicembre 2019, quando sempre Luciano scrive una lettera pubblicata sui principali quotidiani: “Basta odio contro di noi, ci riteniamo parte lesa”. E’ l’ultimo atto, in cui di fronte alle evidenze la colpa viene scaricata sui manager: “L’organizzazione di Autostrade si è dimostrata non all’altezza, non è stato mantenuto il controllo necessario su tutti i settori di un sistema così complesso. Una struttura è fatta di uomini e qualche mela marcia può celarsi dappertutto”. Poi è arrivata la decisione del Tar che ha ridato nuova linfa alla narrazione di Aspi vittima di “una campagna d’odio”, parola di Luciano Benetton, ed estromessa “dalla ricostruzione del nuovo ponte Morandi pur accollandole tutte le spese”, come ha scritto Repubblica. La Consulta ha ricordato invece che sotto quel ponte sono morte 43 persone, che il governo ha avuto ragione ad escludere Autostrade, bene ripeterlo, per la “eccezionale gravità della situazione”.

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