Quando in un trasferimento da Tashkent a Samarcanda prenotammo due biglietti ferroviari ci fu chiesto se preferivamo viaggiare sul Talgo, il treno di punta dell’Uzbekistan. Non senza sorpresa riscontrammo che la Spagna aveva concluso buone commesse con uno dei paesi più chiusi dell’Asia centrale. La fornitura di quel convoglio che negli anni ’90 rappresentava il fiore all’occhiello dell’alta velocità di Renfe, la società ferroviaria di Stato della Spagna, era il frutto di un intenso lavoro diplomatico. Condotto in prima persona dal re Juan Carlos I di Borbone.
Ci raccontarono che in un incontro in una sala di uno scalo aeroportuale il re spagnolo si era fatto immortalare con Islam Karimov, leader del paese eurasiatico sin dal 1991, anno dell’indipendenza dall’ex Urss. Lo scatto girò nelle cancellerie internazionali e segnò in qualche modo lo ‘sdoganamento’ del Capo eurasiatico, conosciuto per il pugno di ferro verso gli oppositori interni e per la chiusura netta verso il mondo esterno.
La ricompensa fu immediata, innanzitutto commerciale, con l’acquisto di due treni Talgo, un affare da 41 milioni di euro. Anche sul piano personale i rapporti si consolidarono: la figlia del leader uzbeko, Gulnara Karimova, scelse Madrid come sede per l’incarico di ambasciatore.
Questa piccola storia euroasiatica ci aprì gli occhi sul ruolo che il sovrano spagnolo esercitava nell’ambito della diplomazia economica. Ora quei giochi commerciali del monarca, oggi re emerito, potrebbero segnare la fine dell’istituzione.
Un buio intenso avvolge da anni la monarchia. Prima lo scandalo che ha coinvolto Iñaki Urdangarin, il marito della Infanta Cristina di Borbone – figlia di Juan Carlos -, condannato a 5 anni e 6 mesi di prigione al termine del processo sul ‘caso Nóos’ per malversazione di fondi pubblici e traffico di influenze illecite. Il Tribunale Supremo di Madrid appurò che il genero dell’ex re approfittava della posizione privilegiata di membro della Famiglia reale per ottenere contratti pubblici.
Ora la diseredazione del Rey emérito per mano di Felipe VI, il figlio 52enne cui era stato ceduto il trono con atto abdicativo del 2014. Tutto trae origine da un’indagine su riciclaggio e frode fiscale, con Juan Carlos di Borbone che nel 2011 avrebbe avuto un ruolo chiave ancora una volta in una questione di treni.
Stavolta in un appalto internazionale per la costruzione della linea di alta velocità tra le città sante La Mecca e Medina, un tracciato ferroviario miliardario (oltre 7 miliardi di dollari il valore del contratto) che corre lungo il deserto saudita per 450 chilometri. L’opera, consegnata alla committenza nell’ottobre del 2018, era stata aggiudicata ad un consorzio di imprese spagnole.
Inquirenti spagnoli e svizzeri hanno posto sotto la lente di ingrandimento il ruolo assunto nell’operazione dall’ex monarca, oggi 82enne, da sempre in rapporto privilegiato con i reali sauditi. Tutto è partito da intercettazioni su Corinna zu Sayn-Wittgenstein, una imprenditrice danese nota ai rotocalchi per un flirt con Juan Carlos, che avrebbe avuto accesso a documenti riservati che proverebbero la riscossione di una tangente saudita pari a 100 milioni di dollari. Un’operazione finanziaria complessa transitata, secondo il foglio elvetico Tribune de Geneve, attraverso Panama su conti svizzeri.
Si aprono ora due questioni, una politica, l’altra legale. Il governo di sinistra di Madrid sostiene di voler mantenere un atteggiamento neutrale, in nome del principio di uguaglianza di tutti dinanzi alla legge. Una reazione più dura è venuta dalla Corona, con Felipe VI che ha – simbolicamente – dichiarato innanzi a notaio di voler rinunciare alla futura eredità paterna, sospendendo nel contempo il vitalizio annuo di circa 200mila euro riconosciuto al re emerito. Una presa di distanza netta, quasi un gesto estremo per salvare il salvabile.
Le implicazioni legali sono più complesse: Juan Carlos godeva dell’immunità legale fino al 2014, anno del passaggio di consegne in favore del figlio. La procura del Tribunale Supremo potrà quindi valutare fatti penalmente rilevanti accaduti solo dopo giugno 2014.
Non sarà facile vedere il re sul banco degli imputati, la ragion di Stato potrebbe prevalere, celata dietro una formula giuridica. È però sfumata quella relazione speciale che ha unito per decenni il vecchio sovrano al suo popolo. Al monarca si perdonavano scappatelle amorose o qualche serata troppo ebbra: era più intenso il ricordo del giovane re che il 23 febbraio 1981, in pieno golpe ordito dal tenente colonnello della Guardia civil Antonio Tejero, fece una coraggiosa scelta di campo in difesa di una democrazia ancora fragile.
Oggi la monarquía está tocada, come dire alterata, secondo molti incamminata lungo un sentiero stretto, senza ritorno.