“Forse è azzardato e radicale dire che gli uomini hanno fallito, ma certo non si può non tenere conto che la crisi attuale della nostra società, che è di valori, di rappresentanza, addirittura di democrazia, sia la crisi di un modello dalla gestione del quale le donne sono state assenti, o in posizioni estremamente marginali. Vogliamo dunque esserci perché la ricchezza della società è nel valorizzare il contributo di ogni persona e perché ogni persona ha il diritto-dovere di dare il suo contributo alla crescita della comunità”.

Si apre con questa citazione di Tina Anselmi il position paper Il cambiamento che vogliamo – Proposte femministe a 25 anni da Pechino, redatto da 48 esperte che rappresentano organizzazioni dell’attivismo femminista. Alcune di loro avevano già lavorato insieme per la realizzazione del Rapporto Ombra per la Cedaw e per il Grevio.

Il documento è stato presentato ieri a Roma nella sede dell’agenzia stampa Dire, ed è stato realizzato in due mesi grazie al lavoro di Marcella Pirrone, presidente di Wave, di Elena Biaggioni, avvocata e referente Gruppo avvocate D.i.Re, di Claudia Pividori, esperta di diritti umani del Centro Veneto Progetti Donna, di Alice degl’Innocenti, del centro antiviolenza Vivere Donna Onlus, che hanno coordinato i lavori per D.i.Re con la collaborazione di Daniela Colombo, attivista femminista ed economista dello sviluppo.

Il position paper è articolato in sette punti e ricalca lo schema delle 12 aree critiche della storica Conferenza di Pechino. Contiene proposte politiche, pensieri e azioni per affrontare la profonda crisi che sta investendo il mondo a livello globale, acuita dalla pandemia che ha messo a nudo disuguaglianze sociali, economiche e di genere mentre il surriscaldamento del pianeta mette a rischio le risorse e la sopravvivenza del genere umano.

Ieri in diretta streaming sono stati illustrati i sette temi che devono essere il fulcro della nuova agenda politica per contrastare le disparità tra uomini e donne. Le relatrici intervenute hanno parlato di lavoro e di occupazione femminile, di medicina di genere e dei diritti sessuali e riproduttivi, di violenza maschile contro le donne e vittimizzazione da parte delle istituzioni, di rappresentazione delle donne sui media e stereotipi di genere e di ambiente.

L’Italia è un Paese arretrato e inadempiente rispetto alla richiesta di gender mainstreaming – ovvero dell’inserimento dell’approccio di genere in tutte le politiche che era stato l’obiettivo della Dichiarazione e del Programma di Azione della Conferenza di Pechino – e continua a tenere ai margini le donne, relegandole nell’invisibilità.

“Basta pensare che nel documento prodotto dalla task force guidata da Vittorio Colao – ha detto Stefania Pizzonìa, presidente dell’associazione Le Nove – soltanto al 94esimo punto si parla della condizione delle donne, come se tutto ciò che viene affrontato nei punti precedenti non ci riguardi e non ci veda protagoniste, anche se durante la pandemia le donne hanno avuto un ruolo decisivo per presenza, competenza ed esperienza e hanno rappresentato il 75% di quegli ‘eroi’, sempre declinati al maschile dai media, che hanno curato i malati durante la pandemia” – ma sono anche quelle che rischiano di essere maggiormente penalizzate dalla crisi economica del post Covid-19.

“In questo contesto generale – ha detto Antonella Veltri, presidente D.i.Re donne in rete – i 25 anni trascorsi da Pechino hanno visto scorrere voci, organizzazioni, forme partecipative di donne che hanno mostrato prese di posizione politica forti e hanno fatto battaglie contro le molteplici discriminazioni che colpiscono le donne. Discriminazioni legate alla classe sociale, ai processi di impoverimento, al razzismo, alla sessualità, al genere, alla violazione dei diritti, alla libertà per tutte e tutti. Da una parte quindi si è messa in luce la capacità di queste discriminazioni, di queste violazioni di rafforzarsi, dall’altra si è anche consolidata la posizione che riconosce alle donne una complessità sociale, politica e storica che permette di tracciare alleanze riconoscendo scelte, sguardi, posizioni, identità.

È in questo scenario positivo e di riconoscimento che il position paper si inserisce, per fare sì un bilancio dei progressi, dei ritardi e in vari casi persino degli arretramenti nella realizzazione della Dichiarazione e del Programma di Azione di Pechino, ma soprattutto per ribadire, con totale chiarezza e massima autorevolezza, che senza le donne il sistema fallisce. Abbiamo una sola possibilità, ripartire da noi. È questo il cambiamento che vogliamo!”.

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