I barchini con le bandiere No-Mose in Bacino di San Marco, sotto l’occhio vigile della Polizia. La motonave attraccata a San Zaccaria pronta per salpare in direzione dell’Isola Nuovissima al Lido, portando un variopinto carico di vip, politici, tecnici, giornalisti e teleoperatori, per assistere alla prima volta del Mose. Una gestazione particolarmente faticosa visto lo stanno costruendo da 17 anni, ma hanno cominciato a progettarlo nel 1984. E’ la prima volta in cui le 78 paratoie si alzeranno contemporaneamente dalle acque e andranno a chiudere le tre bocche di porto del Lido, Malamocco e Chioggia, isolando la Laguna di Venezia dal mare. Se poi funzionerà, quando tra un anno e mezzo sarà messo a punto, è tutto da vedere.
LA PROVA – Al momento si tratta di una bella passerella, non di un collaudo. L’architetto Elisabeta Spitz, nominato commissario straordinario per il Mose lo scorso novembre, e Cinzia Zincone, provveditore alle Opere Pubbliche del Triveneto, faranno da madrine, nel senso che sono loro ad aver preso in mano la situazione. Sono defilati i due amministratori straordinari del Consorzio, Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo (non sarà neppure presente), che su impulso dell’Anticorruzione vennero messi a gestire la struttura dopo lo scandalo del 2014. La prova avverrà alla presenza del premier Giuseppe Conte e della ministra alle Infrastrutture, Paola De Micheli, di altri ministri, del governatore Luca Zaia e del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. La control room si trova sull’isola artificiale alla bocca del Lido, dove confluiscono le autorità.
L’OPERA – Il Mo.S.E., acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico, è composto da quattro barriere, con 78 paratoie (più 8 di riserva); due barriere (di 21 e 20 paratoie) alla bocca di porto del Lido, le altre a Malamocco (19) e Chioggia (18). Le paratoie in acciaio, piene d’acqua, giacciono sul fondo in alloggiamenti in cemento. Per salire in superficie, grazie a gruppi di cerniere-connettori, vengono riempite d’aria. Il loro compito è quello di difendere Venezia dall’acqua alta, come quella devstante di novembre che arrivò a 187 centimetri. La realizzazione è affidata al Consorzio Venezia Nuova, il concessionario del Ministero delle Infrastrutture, che fu costituito negli anni Ottanta per dar corso agli interventi di salvaguardia della Laguna di Venezia. La storia più antica è marcata da Italstrade, Condotte d’Acqua, Grandi Lavori-Fincosit e Mazzi Costruzioni. Ma entrò a farvi parte anche Impregilo, del gruppo Agnelli, che dai primi anni del Duemila venne sostituito da Mantovani Costruzioni. Dalla fine del 2014 il commissariamento.
I COSTI – Il 10 luglio 2020 è una data che andrà iscritta nell’albo d’oro delle grandi opere, della città di Venezia, ma anche in quello delle grandi incompiute italiane e degli scandali giudiziari. Dal costo elevatissimo. Basti pensare che l’esborso ufficiale è di 5 miliardi 439 milioni di euro, ma si arriva a 6 miliardi con opere accessorie e di mitigamento ambientale. Nel 2001 il costo preventivato era di 4,2 miliardi. Ma si calcola che il costo per il funzionamento e la manutenzione possa essere di 100 milioni all’anno. Siccome il Mose ha una vita prevista di 100 anni, altri 10 miliardi di euro si devono aggiunge al conteggio. Il che fa 16 miliardi di euro. Se dovessimo dividerli per il numero degli attuali cittadini italiani, vengono 267 euro a testa. Nel capitolo costi incidono autentici sprechi. Ai tempi delle vacche grasse fu progettata una nave da 52 milioni di euro, per manovrare le paratoie da portare in officina. E se ne progettava una seconda, per una spesa analoga, poi bloccata. La Conca di navigazione di Malamocco, che dovrebbe consentire il passaggio delle navi dirette a Porto Marghera anche con il Mose alzato, è stata danneggiata da un fortunale ed è troppo stretta per il transito delle navi più grandi e moderne, il che significa una spesa di ulteriori 31 milioni di euro.
LE CRITICITÁ – Il Mose è soprattutto un’incompiuta, con tutti i problemi che ciò comporta. I lavori sono in ritardo di almeno dieci anni (saranno ultimati a dicembre 2021) e questo è sicuramente il primo grande problema, perchè le componenti sono già vecchie. Il secondo riguarda la ruggine. Le prime paratoie vennero messe in acqua a Treporti nel 2013 dalla Mantovani di Piergiorgio Baita, poi travolta dallo scandalo tangenti. E siccome da allora non c’è stata manutenzione, la superficie esterna presenta macchie di ruggine, a causa della salsedine e dello scrostamento della vernice protettiva. Un anno fa è stato bandito un appalto da 18 milioni di euro per gli interventi, ma i lavori non sono cominciati a causa dei ricorsi delle ditte escluse. La ruggine si ritrova negli steli delle cerniere che consentono di alzare le paratoie. Avrebbe dovuto comparire solo dopo qualche decennio, invece è presente da un paio d’anni perchè non sono mai stati acquistati e attivati gli impianti di aerazione nelle gallerie subacquee e quindi ci sono importanti fenomeni di umidità. Il terzo capitolo critico è quello delle sabbie che si depositano sul fondo della Laguna, soprattutto dalla parte di Punta Sabbioni a Treporti. Ed è lì che in uno degli ultimi test si è verificata l’impossibilità di rientro nella posizione di quiete di quattro paratoie. Il problema può essere risolto con una pulizia continua (ma che avrebbe dovuto esser prevista in fase di progetto), che finora non c’è stata. La sabbia, per essere spostata, richiederebbe l’applicazione del protocollo dei fanghi della laguna, non ancora ultimato. Il quarto capitolo è costituito da tutto ciò che ancora manca, ad esempio l’impianto antincendio, senza il quale non si può procedere alla messa in funzione, mentre vanno calibrati i tempi di salita e discesa delle barriere, anche per evitare abbassamento dei fondali. Sul futuro del Mose pesano, infine, causa civili, di lavoro, amministrative e penali, oltre a contenziosi per più di 300 milioni di euro. Lavoro di stuoli d’avvocati per anni.
GLI SCANDALI – Il Mose è certamente il più profondo pozzo di tangenti. Si calcola che siano state pagate “mazzette” per 22 milioni di euro, ma che abbia ingoiato con false fatturazioni e altri meccanismi dell’illecito un miliardo di euro. Una ragnatela dove tutti mangiavano, i controllati pagavano i controllori e gli stati di avanzamento. Nel 2014 gli arresti eccellenti, dopo le confessioni dell’imprenditore Piergiorgio Baita e dell’ex segretaria di Giancarlo Galan, Claudia Minutillo. In manette finiscono una trentina di persone, decine e decine gli indagati. Al vertice c’erano l’ingegnere Giovanni Mazzacurati (ora deceduto) e Alessandro Mazzi del Consorzio, imprenditori, titolari di cooperative, funzionari pubblici, (il governatore Giancarlo Galan e l’onorevole Marco Milanese di Forza Italia, ma anche il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, in quota centrosinistra, l’assessore regionale Renato Chisso). Non mancavano i magistrati (Vittorio Giuseppone della Corte dei Conti), magistrati alle acque (Patrizio Cuccioletta) e anche un generale della Finanza (Emilio Spaziante).
Quei 6 miliardi erano una greppia. E lo Stato è riuscito a recuperare poche briciole, anche se a Galan è stata pignorata una villa da quasi 3 milioni di euro. Anche la Corte dei Conti ha ottenuto risarcimenti importanti (6,9 milioni di euro da Mazzacurati e Mazzi, 5 milioni per Galan e Chisso, 2,4 milioni da Cuccioletta). Ma sarà difficile recuperarli.
(Immagini tratte dal sito del Consorzio Venezia Nuova)