Sul progetto di nuove piste da discesa sul monte di Roma, il Terminillo, stanno fortunatamente intervenendo diversi personaggi di richiamo. Da Reinhold Messner, che paragona quello che si vuole fare sul Terminillo a quello che si sta facendo in Amazzonia, riferendosi ai tagli di boschi al solo fine di un ritorno immediato, a Luigi Boitani, a Patrizia Gentilini.
Facciamo prima un breve riassunto dello stato dell’arte. Anche se i primi impianti scioviari risalgono addirittura al Ventennio, il Monte Terminillo divenne famoso come località sciistica negli anni 60-70. Era l’epoca d’oro dello sci, complice la copiosità delle precipitazioni ed il relativo benessere della popolazione italiana.
Il Terminillo, nonostante disti circa 100 chilometri da Roma, divenne il monte della capitale, ed era anche l’unica località sciistica dell’Appennino. Ma nei decenni successivi – complice la concorrenza delle località abruzzesi – la sua fama di località sciistica si appannò parecchio. Ed ecco allora che in questo millennio – in un’epoca di palese diminuzione delle precipitazioni e di aumento delle temperature – viene riproposta una serie di progetti per rivitalizzare la località, ampliando l’offerta (si dice così) e prevedendo il collegamento degli impianti di Rieti con quelli di Leonessa (versanti ovest e est del monte).
È la stessa regione Lazio sotto la guida di Piero Marrazzo a stanziare venti milioni di euro per un primo piano di fattibilità. È il 2009. Ed è così che nel 2015 viene presentato un primo Tsm (Terminillo stazione montana), che però non supera la Via (Valutazione impatto ambientale). Ma i comuni interessati non demordono ed ecco allora un Tsm 2 (il ritorno…), che è attualmente in fase di Via.
Se il Tsm 2 venisse realizzato ci troveremmo di fronte a 17 impianti di risalita, di cui ben sette nuovi; due bacini per l’innevamento artificiale pari a 136mila metri cubi; il taglio di 17 ettari di faggeta vetusta tra i 150 e 200 anni, ma con alcuni esemplari che potrebbero arrivare ai 400 anni; circa 8,7 km di trincee su praterie alpine non riproducibili. Il tutto in un’area che prevede la presenza di aquila reale, lupo, orso, e che doveva essere candidata a sito Unesco giustappunto per le sue faggete vetuste. Il Tsm 2 ricorda un po’ quello che è già accaduto sul Monte Catria (per rimanere sull’Appennino), ma molto, molto più in grande.
Il progetto probabilmente verrà bocciato dalla Regione perché in contrasto con le sue stesse disposizioni normative, che prevedono che in questa area vincolata non vengano realizzati nuovi impianti di risalita.
Ma vorrei sottolineare un altro aspetto tutt’altro che secondario. Stanti l’aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni nevose, questi progetti vengono proposti perché si confida nella fabbricazione della neve, senza la quale buona parte delle stazioni sciistiche avrebbero chiuso i battenti in questo ultimo ventennio. Bene, un interessante e documentato studio del febbraio scorso analizza i costi sempre più alti di questa neve, in termini ambientali (quantità di acqua necessaria, energia elettrica impiegata) ma anche semplicemente monetari.
Concludo. I costi ambientali dell’operazione Tsm 2 sono altissimi, una vasta porzione di territorio e ambiente verrebbe sacrificata sull’altare di un presunto ritorno economico a breve, ma molto a breve, perché secondo le previsioni fra qualche decina di anni non si potrà neppure più creare la neve. Già oggi famose località dell’arco alpino – ricorda il predetto studio – faticano a produrre neve finta a causa dell’aumento delle temperature, anche di quelle notturne. E allora cosa rimarrà di tutto questo?
Ovviamente, c’è una petizione online.