L’ultima decisione che blocca i piani del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per investire sul petrolio e raggiungere l’indipendenza energetica. Disegnando ancora una volta un percorso opposto rispetto a quello del suo predecessore Barack Obama. Il giudice federale James E. Boasberg, della corte distrettuale del District of Columbia, ha stabilito che entro il 5 agosto dovrà chiudere temporaneamente il cantiere per la costruzione del Dakota Access Pipeline, un maxi oleodotto di quasi duemila chilometri che dovrebbe collegare il North Dakota all’Illinois attraversando quattro Stati. Il tracciato dell’opera è stato però contestato dalle tribù dei nativi americani e da associazioni ambientaliste, secondo cui la parte sottomarina mette a rischio il bacino idrico delle comunità, senza contare la violazione di terreni e luoghi sacri Sioux. Si tratta di un ennesimo freno a un piano più ampio, sempre più complicato da realizzare per il tycoon, che dovrà fare leva su altro (all’oleodotto in questione è legata una promessa di quasi 30mila posti di lavoro) per ottenere i consensi che gli serviranno a novembre, quando dall’altra parte dell’Atlantico si tornerà alle urne.
LA DECISIONE E LA BATTAGLIA – Secondo il giudice, la costruzione dell’oleodotto Dakota Access non rispetta i requisiti della National environment polity act (Nepa). Così, il magistrato ha sospeso il permesso accordato dal Genio dei lavori pubblici dell’esercito Usa alla società Energy Transfer. Si tratta di una decisione che, anche se non definitiva, arriva dopo anni e anni di battaglia evidentemente non ancora concluse. Nei primi mesi del 2017 lo sgombero definitivo dell’accampamento allestito per quasi un anno da ecologisti e membri della tribù di indiani Sioux di Standing Rock. Eppure, solo a dicembre 2016 Barack Obama aveva deciso di non concedere all’azienda costruttrice il permesso di realizzare l’opera, per la quale era stato studiato un percorso alternativo. Donald Trump, però, sentenziò: “Deciderò io”. Il 24 gennaio la firma di due ordini esecutivi per rilanciare il Dakota Access e il Keystone XL, anche quello bloccato da Obama. Sempre nel 2017, però, un tribunale ordinò ulteriori analisi sugli effetti della pipeline.
LO STOP AI PIANI DI TRUMP – A marzo scorso una prima svolta, una corte distrettuale della capitale ha accolto il ricorso da loro presentato, insieme ad altre tribù, stabilendo che le ultime analisi del Genio dell’esercito non affrontano pienamente la questione delle conseguenze dell’infrastruttura proprio sulle varie tribù locali. Il tribunale federale di Washington ha così revocato i permessi per l’oleodotto Dakota Access, costruito per trasportare l’equivalente di 570mila barili di petrolio al giorno, lungo un percorso di oltre 1.800 chilometri. Prima di decidere se fermare definitivamente l’opera o meno, i giudici hanno ordinato una nuova valutazione di impatto ambientale, chiedendo ulteriori informazioni alle parti sugli effetti, ad esempio, di una eventuale perdita di petrolio sul lago Oahe, che si trova nei pressi della riserva Sioux di Standing Rock. Ora la pipeline resterà bloccata per più di un anno, in attesa delle conclusioni di un rapporto sull’impatto ambientale dell’opera. Indubbiamente un duro colpo, in termini economici, per la Transfer Energy. Tant’è che la portavoce, Lisa Coleman, ha rilasciato un secco commento all’agenzia AFP: “Il giudice Boasberg ha agito, andando oltre i limiti dei suoi poteri ordinando la chiusura dell’oleodotto Dakota Access, che era operativo in sicurezza da più di tre anni”.
IL PRECEDENTE – Lo stop all’oleodotto Dakota, tra l’altro, arriva dopo quello al Keystone XL, i cui lavori di costruzione sarebbero dovuti partire quest’estate. Quasi duemila chilometri per trasportare 830mila barili di bitume al giorno dal Canada occidentale fino in Nebraska, dove si dovrebbe collegare al tratto già operativo che arriva fino alle raffinerie del Texas. Ad aprile, proprio quando è iniziata la costruzione nei pressi del confine tra Stati Uniti e Canada, un giudice ha annullato il permesso per i lavori in Montana, un tratto fondamentale per la realizzazione di tutto il progetto. Secondo le motivazioni, non è stato tenuto conto che si mettono in pericolo specie protette. Un progetto da 8 miliardi di dollari, che dovrà attendere almeno fino al 2021 solo per l’avvio dei lavori, dopo aver ottenuto altri via libera e al quale il candidato democratico Joe Biden ha già dichiarato battaglia.