Il cda dell'azienda ha approvato il nuovo piano in tarda mattinata, accogliendo gran parte delle richieste avanzate dai tecnici del governo, e ha spedito il dossier a Palazzo Chigi. La decisione definitiva dell'esecutivo è attesa nel Consiglio dei ministri già fissato per martedì. La gestione della rete autostradale dovrebbe passare ad un soggetto pubblico come Cdp, ma si ipotizza anche un ruolo per il fondo F2i o per altri soggetti stranieri
Autostrade per l’Italia “apre all’ingresso di nuovi investitori” nella compagine della società e accoglie la richiesta del governo di tagliare ulteriormente “i pedaggi della rete”. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, è questa la risposta del gruppo all’ultimatum lanciato ieri dal premier Giuseppe Conte per evitare in extremis la revoca della concessione. Il piano è stato approvato in giornata dal Cda di Aspi ed è stato inviato a Palazzo Chigi, in vista del decisivo Consiglio dei ministri già fissato per martedì. Confermate le ipotesi circolate nei giorni scorsi: con l’ok ai nuovi investitori la famiglia Benetton si prepara a cedere – tramite la controllante Atlantia – parte delle sue quote in Autostrade. In questo modo la gestione della rete potrebbe passare ad un soggetto pubblico come Cassa depositi e prestiti. Nel dossier non c’è nemmeno la richiesta di modifica alle condizioni imposte dal decreto Milleproroghe a differenza di quanto trapelato finora.
Il piano approvato da Aspi prevede anche più soldi da destinare alla rete autostradale: il pacchetto di risarcimenti ufficializzato nei mesi scorsi sale da 3 a 3,4 miliardi, di cui 700 milioni destinati alla ricostruzione del Ponte Morandi e alla città di Genova, 1,5 miliardi per lavori di manutenzione straordinaria e 1,2 per ridurre i pedaggi su tutta la rete. In sostanza si tratta dei 400 milioni in più che i tecnici del ministero dei Trasporti e del Tesoro avevano chiesto per abbassare ulteriormente le tariffe autostradali. Secondo il progetto iniziale di Aspi, infatti, il taglio sarebbe rimasto in vigore solo per pochi anni, ma il governo chiedeva che fosse esteso fino al 2038 (data di scadenza della concessione). Di quanto sarà? Dell’1,75 spalmato nei prossimi 18 anni. Per renderlo operativo, riporta l’Adnkronos, servirà una revisione del Piano economico e finanziario in base alle modifiche del sistema tariffario introdotte dall’Autorità di regolazione dei Trasporti. Restano invariati gli altri punti della trattativa: 14,5 miliardi di investimenti (13,2 secondo altre fonti) e 7 miliardi per la manutenzione ordinaria.
Il problema è che per finanziare tutto questo Aspi ha bisogno di un’iniezione di risorse. Operazione che ad oggi appare difficile visto che l’azienda ha in pancia oltre 9 miliardi di debiti e le società di rating l’hanno declassata a livello spazzatura dopo l’approvazione del decreto Milleproroghe, con cui è stato rivisto al ribasso l’indennizzo che il governo italiano dovrebbe erogare alla stessa Aspi in caso di revoca della concessione (passato dai 23 miliardi fissati nel 2008 agli attuali 7). Inizialmente sembrava che Aspi fosse intenzionata a chiedere una modifica a quella norma per rendersi più appetibile sul mercato. Ma la notizia è stata smentita. La questione si lega a doppio filo con il cambiamento dei vertici: la maggioranza giallorosa è compatta nel chiedere ai Benetton di fare un passo indietro. La famiglia attualmente controlla il 30% di Atlantia che, a sua volta, possiede l’88% di Aspi. L’ipotesi è che scenda sotto il 50%, lasciando il controllo a Cassa depositi e prestiti, al fondo F2i o ad altri fondi come l’australiano Macquaire. Un passaggio fondamentale che si verificherebbe in modo contestuale all’aumento di capitale. Se così non fosse – o se una parte del governo non dovesse accettare il compromesso con i Benetton – l’unica alternativa sarebbe la revoca.