A neanche tre settimane dall’inizio della cosiddetta ‘nuova normalità’ dopo il lockdown, in Spagna si contano 73 focolai attivi di coronavirus e ogni giorno il numero aumenta: il 23 giugno erano 12, e non si può prevedere a che velocità cresceranno. Così, mentre da un lato gli spagnoli cercano di approfittare della bella stagione per uscire dopo tanti mesi chiusi in casa, dall’altro devono fare i conti con il rischio di dover tornare a isolarsi nelle proprie abitazioni. Alcune zone della Spagna infatti sono dovute tornare in “fase due”, con le saracinesche abbassate e le restrizioni di movimento.
Mercoledì scorso il ministro della Sanità, Salvador Illa, in un’intervista a Catalunya Radio, ha dichiarato di seguire con preoccupazione l’evoluzione dei nuovi focolai, pur sapendo che ci sarebbero stati, così come ce ne sono anche in altri Paesi. I due cluster più preoccupanti sono quelli del Segrià (in provincia di Lleida, in Catalogna) e quello di La Mariña (in provincia di Lugo, in Galizia). In quello catalano si è registrato il primo decesso durante il nuovo confinamento della zona, iniziato lo scorso sabato.
In questo momento, dei 210mila abitanti della comarca, in chiusura perimetrale, 132 sono in isolamento nel Segrià, tra positivi e loro contatti stretti. I lavoratori possono passare per la zona chiusa e controllata dalla polizia locale, ma non è permesso fermarsi se non per motivi di lavoro e con le opportune misure di sicurezza. Il Dipartimento di Salute ha installato un ospedale da campo al lato del principale ospedale della città, visto che nella settimana tra giugno e luglio le diagnosi sono state 351. Il direttore del reparto Covid dell’ospedale di Lleida ha dichiarato, in un’intervista a elDiario.es, che “Lleida ora è il banco di prova, ma un ritorno del virus come questo può succedere in qualsiasi altra zona dello Stato”.
In Galizia intanto si parla di più di 190 persone colpite da quando si è individuato il primo caso il 23 giugno, eppure il presidente della giunta galiziana ha dichiarato che le restrizioni verranno mantenute solamente dove si sono registrati nuovi casi negli ultimi tre giorni, mentre negli altri comuni l’isolamento si concluderà in previsione delle prossime elezioni, previste per questo fine settimana. È stato dichiarato infatti che in Galizia ci sono “condizioni idonee per votare” e così sarà, nonostante i timori della popolazione che, comunque, ha richiesto in massa la documentazione necessaria per votare per posta, così da evitare i seggi elettorali.
Nel frattempo, tra mercoledì 8 e giovedì 9 luglio, il Ministero della Sanità spagnolo ha reso noti 241 nuovi contagi di coronavirus: 59 sono stati registrati in Aragona e 52 in Catalogna. In Andalusia sono stati registrati 32 nuovi casi, mentre a Madrid sono stati 22. Seguono poi Castiglia, La Mancia, Galizia e la Comunità Valenziana. Mentre nelle Asturie, a la Rioja e nelle città autonome di Ceuta e Melilla non si sono registrati nuovi casi, nel resto del Paese si sono registrati un po’ ovunque una media inferiore ai dieci casi, con le dovute eccezioni. A Tudela (in Navarra), per esempio, sono stati registrati 23 positivi che hanno preso parte a un matrimonio e a Pamplona in un altro focolaio ci sono nuovi cinque contagiati.
Nel frattempo in tutto il Paese torna l’obbligo a indossare la mascherina non solo nei luoghi chiusi: in Catalogna è obbligatorio dal 9 luglio, in Estremadura dall’11 luglio, il governo basco l’ha resa obbligatoria in Ordizia e nel frattempo anche Murcia, Andalusia, Cantabria e le Isole Baleari stanno valutando se seguire il loro esempio o meno. Ma non tutti sono d’accordo: la Confederazione delle Associazioni Imprenditoriali delle Baleari, per esempio, ha divulgato un comunicato stampa in cui si dichiarano “contrari all’uso di misure più restrittive di quelle che seguono i turisti nelle loro città d’origine”. L’epidemiologo Fernando Simon intanto, apparso ieri in una conferenza stampa in cui ha espresso la sua preoccupazione per le fasce più deboli della società, ha anche dichiarato che al momento “non sembra necessario confinare nessuna zona del Paese”.