“Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato”. Poche ma attesissime parole, pronunciate a braccio da Papa Francesco al termine dell’Angelus, che hanno finalmente rotto il silenzio della Santa Sede sulla riconversione di Santa Sofia, a Istanbul, da museo in moschea. Una decisione fortemente voluta dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha annunciato che l’edificio sarà riaperto al culto islamico dalla preghiera del venerdì del 24 luglio. Immediata è stata la reazione di numerose e autorevoli voci del mondo cristiano alle quali si è aggiunta quella di Bergoglio. Secondo il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, la decisione di Erdogan “spingerà milioni di cristiani in tutto il mondo contro l’islam”. In virtù della sua sacralità, Santa Sofia, ha aggiunto il Patriarca, è un centro di vita “nel quale si abbracciano Oriente e Occidente” e la sua riconversione in luogo di culto islamico “sarà causa di rottura tra questi due mondi”. Nel XXI secolo è “assurdo e dannoso che Hagia Sophia, da luogo che adesso permette ai due popoli di incontrarsi e ammirare la sua grandezza, possa di nuovo diventare motivo di contrapposizione e scontro”.
Posizione in perfetta sintonia con la Chiesa ortodossa russa, guidata dal Patriarca di Mosca Kirill, che ha accolto con “grande pena e dolore” la decisione del governo turno. Il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato, l’ha definita “un duro colpo per l’ortodossia mondiale”. Mentre il portavoce Vladimir Legoida ha dichiarato che “la preoccupazione di milioni di cristiani non è stata ascoltata”. Per l’arciprete Nikolai Balashov, vicecapo delle relazioni esterne, “questo è un evento che potrebbe avere serie conseguenze per l’intera civiltà umana”. Parole durissime che fanno comprendere quanto gravi possano essere le ripercussioni di questa decisione nei rapporti tra cristiani, in particolare cattolici e ortodossi, e musulmani.
Dedicato alla Sophia, la sapienza di Dio, dal 537 al 1453 l’edificio fu prima cattedrale greco-cattolica e poi ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli, a eccezione di un breve periodo, tra il 1204 e il 1261, quando fu trasformato dai crociati in cattedrale cattolica di rito romano sotto l’impero latino di Costantinopoli. Divenne poi moschea ottomana il 29 maggio 1453 e tale rimase fino al 1931. Tre anni dopo fu trasformata in museo e così è stato fino a oggi quando il Consiglio di Stato turco ha dato il via libera alla riconversione di Santa Sofia in una moschea. Il più alto tribunale amministrativo del Paese ha, infatti, annullato il decreto del 1934 del padre fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, accogliendo la richiesta di un piccolo gruppo islamista locale. Un decreto di Erdogan, arrivato subito dopo la decisione del Consiglio di Stato, stabilisce il trasferimento della gestione del sito bizantino dal ministero della Cultura alla presidenza degli Affari religiosi, riconvertendo di fatto in moschea Santa Sofia.
Dal canto suo, il presidente turco ha risposto alle proteste, soprattutto del mondo cristiano, invocando la “sovranità nazionale” e assicurando che le porte di Santa Sofia continueranno a essere aperte a tutti, musulmani e non, come avviene per tutte le moschee: “Ogni critica è un attacco alla nostra indipendenza”. Dopo la sua decisione, numerosi musulmani si sono recati davanti a Santa Sofia gridando: “Allah è grande”. Anche l’Unesco, però, non ha approvato la scelta di Erdogan sottolineando che in questo modo cambia il “valore universale eccezionale” del sito, “potente simbolo di dialogo”. “Un Paese – ha affermato l’agenzia Onu – deve assicurarsi che nessuna modifica mini lo straordinario valore universale di un sito sul suo territorio che si trova nella lista. Ogni modifica deve essere notificata dal Paese all’Unesco e verificata dal World Heritage Commitee”.
Una vicenda che accresce ulteriormente il divario tra Erdogan e Papa Francesco che ha visitato il museo di Santa Sofia nel 2014 in occasione del suo viaggio in Turchia. Già in quell’occasione, Bergoglio non aveva per nulla gradito la scelta del presidente turco di riceverlo nella sua lussuosissima residenza, ad Ankara, inaugurata appena due mesi prima della visita del Pontefice: più di mille stanze con una superficie totale di oltre 350mila metri quadri e una moschea che può contenere 5mila fedeli. Un palazzo ben più grande della Casa Bianca, del Cremlino e di Buckingham Palace. Ciò che irritò il Papa fu che Erdgon volle che fosse proprio lui la prima personalità internazionale a varcare la soglia della residenza.
Proprio in quel luogo, Francesco aveva affermato che “occorre contrapporre al fanatismo e al fondamentalismo, alle fobie irrazionali che incoraggiano incomprensioni e discriminazioni, la solidarietà di tutti i credenti, che abbia come pilastri il rispetto della vita umana, della libertà religiosa, che è libertà del culto e libertà di vivere secondo l’etica religiosa, lo sforzo di garantire a tutti il necessario per una vita dignitosa, e la cura dell’ambiente naturale”. E aggiunse: “È fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani, tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa”. Dopo quella visita, i rapporti tra i due leader sono peggiorati soprattutto quando il Papa ha ripetutamente denunciato il “genocidio armeno”. In Turchia, infatti, l’utilizzo di questa espressione per definire il massacro di un milione e mezzo di armeni avvenuto tra il 1915 e il 1916 per mano dell’impero ottomano è punito con il carcere. Da quel momento in poi le relazioni diplomatiche tra il Vaticano e la Turchia sono sempre state molto fredde.