Un ventenne per due giorni è rimasto legato in un appartamento, denudato, oggetto di violenze da parte di un amico di famiglia 63enne che lo aveva cosparso di benzina, minacciando di dargli fuoco. “Ho avuto paura di morire”, ha raccontato il giovane quando è stato soccorso in una casa di Cornuda, in provincia di Treviso. Accanto a lui il suo aguzzino, ferito alla testa per un colpo subito. La versione di quanto accaduto è ancora parziale: di sicuro è terrore vero quello che esprimeva nel momento in cui i vigili del fuoco hanno aperto la porta.
Ai genitori ha raccontato: “Sembrava un incubo interminabile. Quell’uomo mi minacciava, mi diceva: ‘Ti brucio, ti brucio‘. E mi ha costretto a mandarvi quel messaggi dove vi dicevo che sarei andato a Jesolo con un’amica e che sarei rimasto lì”. Il ragazzo frequentava l’uomo, un amico di famiglia, per aiutarlo dopo una malattia, lo aiutava a sbrigare qualche commissione o lo accompagnava dal medico. Il giovane aveva lasciato la sua residenza in provincia di Belluno, ma aveva poi scritto ai genitori informandoli che era andato al mare a Jesolo con una amica e che sarebbe tornato dopo tre giorni. Era andato nell’appartamento dell’uomo, ma poi si era addormentato. Secondo il padre potrebbe essere stato drogato. Quando si è svegliato era completamente nudo, legato ai polsi e alle caviglie con delle corde. “Voleva violentarmi e minacciava che mi avrebbe bruciato se non vi avessi mandato quei messaggi”. Quando si è liberato, 48 ore dopo, però l’allarme era già stato dato. L’odore delle benzina aveva spinto un vicino a chiamare i vigili del fuoco che si sono visti aprire la porta da un ragazzo nudo e terrorizzato.
Ma c’era anche l’uomo, ugualmente nudo, in una pozza di sangue. Il ragazzo lo avrebbe colpito con una statuetta dopo essere riuscito a slegarsi. Gli investigatori dovranno verificare l’attendibilità di questa versione e capire come l’uomo sia stato ferito. Al momento le ipotesi di reato contestate (entrambi sono indagati, in attesa che si chiarisca lo svolgimento dei fatti) sono tentato omicidio, lesioni, tentata violenza sessuale e sequestro di persona. Intanto emerge dal passato dell’uomo un omicidio di cui è stato protagonista e che non aveva mai raccontato alla famiglia del ventenne. Il papà di E. M. ha spiegato: “Ci aveva solo raccontato che era stato adottato perché i genitori lo avevano abbandonato quand’era molto piccolo”.
In realtà nel 1984 aveva ucciso la propria madre adottiva, una vedova di 74 anni. Le aveva sparato un colpo di pistola alla testa. La donna era nella cucina della propria abitazione, a San Zenone degli Ezzelini. Si era appisolata davanti al televisore acceso. Il figlio aveva allora 27 anni. Aveva impugnato una pistola calibro 7.65 (con la matricola abrasa) e sparato un colpo. Un omicidio feroce, inspiegabile, senza testimoni, senza un apparente movente. Dopo alcune ore il giovane si era presentato al cancello della caserma dai carabinieri, a Marostica. Aveva confessato. “Non volevo che soffrisse a causa mia”.
Il ventenne in passato aveva subito avances sessuali da parte dell’uomo, che gli aveva confessato di essere gay. Ma le aveva respinte. Così ha dichiarato ai giornali locali il padre. “Mio figlio sapeva che è omosessuale, si era confidato con lui e, in passato, aveva anche cercato di fargli delle avances. Ma lui aveva messo subito le cose in chiaro, l’amicizia sarebbe continuata ugualmente, ma ognuno doveva rimanere al proprio posto”. Per il momento il ragazzo, di fronte al pubblico ministero, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’anziano è ricoverato nell’ospedale di Montebelluna, in prognosi riservata.