In quest’epoca turbinosa e sconvolgente che ha scoperchiato quanto sia fragile il sistema economico-sociale globale, un virus, essere microscopico e impercettibile, s’insinua nelle vie respiratorie distruggendole e nello stesso tempo nei meccanismi vitali della produzione e della riproduzione con effetti non diversi. Abbiamo constatato all’alba di questo terzo decennio del XXI secolo dopo Cristo che siamo molto più esposti alle imprevedibili mutazioni della natura che pensavamo di dominare.
Ora sembra che una parte dell’umanità non abbia colto il significato profondo di ciò che è successo e sta succedendo. La pandemia mondiale non solo ha generato dodici milioni di persone positive al virus di cui oltre 500mila non sono sopravvissute, ma si presenta come un problema di lunga gestazione e di difficile soluzione, fino a quando un vaccino efficace e sicuro non sarà scoperto, prodotto e somministrato a tutta la popolazione mondiale.
Questa situazione sta determinando una crisi economica senza precedenti, una crisi di sistema che tocca produzione, consumi, trasporti di persone e cose, quindi tutte le economie, a diverso livello; è una crisi incrociata, interdipendente, perché se non si può vendere, è inutile produrre, se la gente non si può muovere per il rischio di contagio, tutte le economie ne risentono. Si calcola che la produzione mondiale perderà quest’anno il 20% ma forse è sottostimato.
Pertanto sono da adottare soluzioni straordinarie, auspicabilmente transitorie ma che permettano alla popolazione di sopravvivere! Questo riguarda tutti i Paesi in modo diverso: il concetto di sopravvivenza è diverso se si parla di Occidente industrializzato o di Africa o di Sudamerica, ma in ogni luogo, all’impossibilità per una parte della popolazione di far fronte ai propri bisogni perché ha cessato di guadagnare, occorrerà provvedere a sfamare, o a pagare l’affitto, le bollette, le visite mediche, o a tenere aperto il negozio fin quando è possibile.
È in questo quadro drammatico e allarmante che s’insinuano i difensori a oltranza del liberismo e del primato del profitto privato, senza rendersi conto che oggi non è più possibile che gli Stati e le organizzazioni pubbliche mondiali non siano alla testa di un programma di resistenza e possibilmente di ripresa economica, su basi diverse dal passato. Non c’è altra soluzione che instaurare un meccanismo generale di redistribuzione della ricchezza residua, per mantenere o ripristinare condizioni minime di sostentamento e di funzionamento delle società.
La destra si sa che da quest’orecchio non vuol sentirci, perciò vediamo per la prima volta in difficoltà vera Donald Trump, Boris Johnson, per non dire di Jair Bolsonaro e tutti i rappresentanti del populismo autoritario, perché la loro ricetta semplicemente oggi non funziona: essi non possono più garantire salute, lavoro e diritti elementari a nuove masse di disoccupati, promettendo l’eden. No, oggi devono provvedere concretamente intervenendo e siccome non lo fanno bene, ecco che avvengono rivolte e il malcontento dilaga.
È perciò abbastanza stupefacente ascoltare, proprio adesso, da diversi esponenti della sinistra italiana richiami a ricette liberiste, perfino di antico stampo padronale come le gabbie salariali o la valorizzazione delle differenze a vantaggio del Nord e contro il Sud del Paese. È come se un demone (maleficamente impersonato dai media mainstream) si sia impossessato di questi esponenti, così indossano le maschere della destra per far cosa? Conquistare la simpatia dei confindustriali? Dei possessori di capitali?
Se non fossimo il Paese sgangherato che siamo con l’evasione fiscale più alta del mondo, verrebbe da dire che si tratta di un colpo di sole, o una scia del contagio che ha danneggiato qualche cervello. In realtà ci troviamo di fronte a scelte dirimenti e se non si provvederà a introdurre un po’ più di giustizia sociale di sostegno a chi non ha mezzi, e soprattutto se non s’interverrà con una tassazione progressiva, nei prossimi mesi assisteremo a situazioni che ci faranno capire che si sta scherzando col fuoco.