Minuto 89 di ciò che di più simile a una sfida scudetto questo disgraziato campionato è in grado di offrirci, cioè la splendida Atalanta di Gasperini a meno nove dalla vetta sul campo della Juventus che ha dominato gli ultimi otto anni di calcio italiano. Finisce con un rigore in favore della più forte, per un fallo di mano risibile, che fa il paio con il primo rigore, per un mani ancora più ridicolo. Se siete già pronti a gridare “Juve ladra” ed altre amenità del genere che ormai in Serie A rappresentano una tradizione, fermatevi un secondo: i rigori sono giusti, è la regola a essere uno scandalo.
Juventus-Atalanta va in archivio come la partita che ha chiuso ufficialmente la stagione 2019/2020. In realtà era tutta narrazione: meravigliosa la Dea, bello sognare che la provinciale del bel calcio potesse detronizzare i potenti bianconeri, ma come ha detto Gasperini il campionato era già finito da un pezzo. Crollata la Lazio, non pervenuta l’Inter post-Covid, anche se avesse perso sabato con sei punti di vantaggio la Juve lo scudetto l’avrebbe vinto con giornate d’anticipo, nel calcio italiano che assomiglia sempre più a Liga e Bundesliga, dove le partite che contano sono 4-5 in tutto l’anno, il resto fa volume.
Sgombrato il campo dall’equivoco della “sfida scudetto”, che porta sempre un certo carico di tensione, possiamo soffermarci sul vero caso di giornata: il rigore, anzi i rigori, per la Juventus. Un grande classico, su cui si sono subito scatenate le polemiche. I due episodi si assomigliano: nel secondo caso, Muriel tocca evidentemente con braccio largo una palla vagante in mezzo all’area, nel primo un cross sbatte sul gomito di De Roon, per altro abbastanza attaccato al petto. Chiunque abbia mai giocato a pallone, un rigore del genere non lo fischierebbe mai. Giacomelli li ha assegnati entrambi. E la cosa più grave è che ha fatto bene, regolamento alla mano.
“È di solito un’infrazione se un calciatore tocca il pallone con le mani/braccia quando queste sono posizionate in modo innaturale aumentando lo spazio occupato dal corpo”. Con queste due righe di interpretazione, a inizio stagione la “casta” arbitrale dell’Aia ha mortificato ancora una volta lo spirito del gioco, elevando i direttori di gara a inflessibili castigatori, sempre col fischietto in bocca e l’indice puntato verso il dischetto. Non è solo questione di Juve-Atalanta. È da agosto scorso (ricordate Fiorentina-Napoli?) che le cose vanno così, salvo topiche ed eccezioni clamorose (domenica scorsa Fabbri neanche davanti al Var ha visto il mani clamoroso di Mancini in Roma-Parma: fa tutto parte del campionario arbitrale italiano). Leggendo le norme, è difficile dar torto a Giacomelli. Il rigore di De Roon resta comunque borderline, ma a in fondo anche lui ha aumentato lo spazio del corpo, per il semplice fatto che un braccio per antonomasia non fa parte del corpo. Non è un caso che da inizio anno la Serie A abbia toccato il record assoluto di penalty assegnati, più di qualsiasi torneo europeo.
Così, però, non è più calcio. Il rigore, la massima punizione, dovrebbe punire un vantaggio o un danno procurato. Nell’interpretazione corrente siamo ormai più vicini alla pallacanestro che al calcio, dove un tocco di piede è sempre sanzionato: ma lì non ti danno tiri liberi per una carambola fortuita, solo i nostri arbitri (perché checché ne dica Nicchi le cose all’estero non vanno sempre così) hanno scelto questa applicazione delle regole. Risultato: l’ultima partita che contava dell’anno è stata decisa da due rigori che calcio non hanno nulla a che fare. Ma in fondo è il giusto epilogo della stagione: un campionato che dopo il coronavirus non aveva più senso, finisce in un modo senza senso.