Si sa che in estate la politica non dà mai il meglio di sé e che confidando sulla distrazione e sul comprensibile desiderio di evasione e di rilassamento, quest’anno favorito dallo stress pandemia, riemergono i personaggi, “i casi”, le pulsioni, gli “eterni ritorni” più impensabili ed indesiderabili e soprattutto meno auspicabili.
Le grandi manovre politico-affaristico-imprenditoriali finalizzate a screditare e a demolire preventivamente qualsiasi mossa del Conte 2, quando è in grado di decidere ed operare conseguentemente, per sostituirlo con un mirabolante governo di grandi intese e ancor più grandi imprese guidato da Mario Draghi o succedaneo sono in atto più o meno da quando questo governo è nato.
Ma quello che in questi giorni viene prospettato e caldeggiato apertamente, da ultimo da Romano Prodi, con naturalezza e bonomia quasi fosse un scelta fisiologica e obbligata, e cioè l’inclusione nell’attuale governo di Silvio Berlusconi con la sua cadente Forza Italia in vista del voto sul Mes – ma anche, è lecito pensare, come condizionamento su scelte stringenti, prima fra tutte la revoca ad Autostrade – è un ritorno al passato indigeribile per qualsiasi elettore che non appartenga al 5,6% di Fi (secondo la rilevazione Swg) e una scorciatoia avvilente per chi la propone.
Il tabù di B. al governo per Romano Prodi sarebbe superato dall’anagrafe, dato che notoriamente “la vecchiaia porta saggezza” e incredibilmente, ma nemmeno tanto conoscendolo da lunga data, non ha nessuna remora ad affermarlo proprio mentre B. sullo “strano caso” del magistrato Franco, riesumato ovviamente dopo la sua morte, ha costruito un nuovo formidabile fronte politico-mediatico, amplificato dalle sue reti, per ricrearsi un’immacolata agibilità politica e sferrare un altro colpo alla credibilità della giustizia.
Sulle motivazioni dell’irrefrenabile desiderio di “collaborazione disinteressata” e rigorosamente “istituzionale” di B. al governo è superfluo porsi troppe domande e potrebbe bastare tenere presente l’esigenza di partecipare al grande progetto Banda larga, forte del suo irresistibile conflitto di interessi inalterato da decenni per grazia ricevuta dai governi di centrosinistra – a cominciare da quelli di Romano Prodi e Massimo D’Alema. Non è un caso che la legge sul conflitto di interessi sia la madre di tutti i tabù e comporti un interdetto politico permanente su chi si osa riproporla o persino evocarla, vedi il M5S.
Difficile dire se “l’uscita” di Prodi a La Repubblica delle idee salutata come “atto di coraggio politico” da Fi e condivisa con entusiasmo dal capogruppo Pd Andrea Marcucci, renziano mai pentito, si possa riassumere nel “patto tra vecchie volpi” tra “quasi amici” che include Mortadella al Colle e Silvio senatore a vita, come ha sintetizzato Libero in un titolo a tutta pagina.
Naturalmente dalle pagine di Repubblica, tristemente scaduta da baluardo dell’antiberlusconismo a vetrina quotidiana delle presunte malefatte di Conte e trampolino di lancio per una nuova ammucchiata patriottica che includa B. e responsabili trasversali, ci spiegano come dietro le parole di Prodi su Berlusconi ci sia solo la grande e responsabile preoccupazione per “l’anomalia sovranista” e la crisi economica in atto. Anche se rimane abbastanza misteriosa la natura del contributo salvifico dello statista di Arcore, il cui curriculum affaristico-politico-criminale è ripercorribile solo a puntate, come sta facendo meritevolmente Il Fatto Quotidiano – ma forse richiederebbe un aggiornato e corposo volume monografico.
Qualunque sia stata la finalità ultima e profonda dello sdoganamento prodiano per “il padre nobile” di Fi in questo contesto in cui, en passant, il capogruppo di Italia Viva Davide Faraone denuncia “la democrazia sconvolta” per la condanna per frode fiscale di B., invoca una commissione di inchiesta e in parlamento si levano in voci per istituire giornate per le vittime della giustizia (con residenza ad Arcore), è almeno il caso di sottolineare l’ambiguità che ha caratterizzato il centrosinistra prodiano in tema di giustizia.
Basti ricordare la scelta last minute di Clemente Mastella come Guardasigilli, bypassando candidati ben più titolati ed affidabili, con le note e prevedibili ricadute e gli interventi a gamba tesa sulle inchieste sgradite come Why not.
E comunque, dato che non tutto il male vien per nuocere, il palese ruolo di “spingitore” pro-berlusconi di Prodi per un “naturale” allargamento della maggioranza a B. dovrebbe essere un discreto campanello d’allarme per il M5S anche per un’inevitabile exit strategy qualora l’operazione proceda, tenuto conto anche delle numerose reazioni favorevoli in casa Pd, e contemporaneamente un serio memento in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.