Ho sempre amato una struggente raccolta di dieci poesie, scritte da Cesare Pavese tra l’11 marzo e il 10 aprile 1950. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, s’intitola. Oggi, pensando a quanto ho vissuto e a quanto desidero fare, animato da un incalzante senso di restituzione, posso dire a mia volta: “Verrà la vita e avrà i suoi occhi”, includendo in quello sguardo Dio, chi mi è stato accanto e quanti riuscirò a raggiungere con la mia povera voce.
A scrivere queste parole è monsignor Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, che, come racconta lui stesso, durante la Settimana Santa 2020 è stato a un passo dalla morte a causa del Covid-19.
Il presule, che ha condiviso questa sofferenza con altri confratelli vescovi e con tanti altri sacerdoti, molti dei quali non ce l’hanno fatta, ha voluto raccogliere in un libro quelle settimane di lotta vissute in ospedale. Verrà la vita e avrà i suoi occhi (San Paolo), scritto a quatto mani con Albero Chiara, caporedattore di Famiglia Cristiana, è il frutto della sofferenza di monsignor Olivero che, però, anche quando tutto intorno a lui sembrava essere più nero della notte, non ha mai perso la speranza.
Il vescovo non ha voluto tenere per sé quell’esperienza drammatica, dalla quale ammette di essere uscito come un uomo nuovo e un pastore nuovo, ma l’ha voluta condividere con chiunque gli è stato accanto in quelle settimane dolorose e ha pregato per lui. Ma anche con chi, dentro e fuori la Chiesa italiana, ha sottovalutato la gravità della pandemia. Il libro è anche un modo per dire grazie ai medici e agli infermieri che lo hanno aiutato con professionalità e umanità a vincere la lotta tra la vita e la morte. Un’esperienza che, come lui stesso ha scritto, gli ha donato occhi nuovi per guardare il mondo.
“”Qui è dura dura dura. Una battaglia. Prega per me!”. Quando lessi sul cellulare il messaggio di monsignor Derio Olivero – scrive il cardinale di Bologna, Matteo Maria Zuppi, nella prefazione del libro – capii in maniera fisica il dramma che vedevamo attraverso le immagini, i racconti che affollavano quei giorni concitati, di paura, inconsapevolezza, sofferenza, isolamento, turbamento che si accavallavano. E la sofferenza di una persona aiuta a sconfiggere l’anonimato, pensare che si tratti di numeri, di statistiche, di nomi senza volto e, alla fine, senza umanità. Il suo nome mi ha accompagnato nella preghiera insistente, intensa, di quei giorni che ha unito tanti, vera ribellione al male e scelta di non accettarlo passivamente”.
Il porporato ricorda che “tre settimane dopo, inaspettatamente, ho ricevuto un altro messaggio, quello che tutti coloro che hanno vissuto l’amarezza della separazione, l’angoscia di non avere notizie, la frustrazione di non potere visitare e il dolore di non accompagnare nella lotta per la vita la persona amata avrebbero desiderato leggere: “Caro amico da ieri respiro. Dio ha fatto il miracolo. Grazie delle preghiere!”. Sì, grazie a Dio. Derio lo ha sentito presente in quel duello tra morte e vita che ci aiuta a capire che il Vangelo è nella storia, quella che il mondo del benessere aveva illuso di potere osservare da spettatori, pensando di restare sani anche se tutto intorno c’erano i malati”.
“Sono stato dimesso – racconta il presule nel libro – 40 giorni esatti dopo il mio ricovero. Interessante, no? Quell’esperienza rappresenta la mia personale traversata del deserto”. E aggiunge: “Nei giorni del ritorno alla vita ho ascoltato anche una voce molto speciale: quella di Jorge Mario Bergoglio. Francesco ha chiamato in reparto venerdì 17 aprile. Ero così sorpreso che lì per lì non ci volevo credere. Ma il primario insisteva: ‘Risponda, è proprio il Papa’. Sentirlo mi ha dato tanta forza. Mi ha detto che da quando aveva saputo che ero ricoverato ha pregato per me. Mi ha chiesto di salutargli gli amici valdesi e ha benedetto me, gli altri malati e tutto il personale medico presente”.
Il libro di monsignor Olivero non raccoglie soltanto il racconto di quelle settimane dolorose vissute all’ospedale Edoardo Agnelli di Pinerolo. Ma facendo tesoro di quei giorni di lotta, il vescovo trae l’insegnamento per il futuro e lo fa guardando principalmente alla Chiesa. Così come aveva già fatto, restando però inascoltato, nei giorni di forte tensione tra la Cei e il governo italiano quando si consumava un duro braccio di ferro per la ripresa delle celebrazioni con la presenza dei fedeli, cosa che era stata interrotta durante il lockdown e perfino durante la Settimana Santa e Pasqua.
“Uno dei grandi rischi che la Chiesa e la società stanno correndo – scrive il presule – è quello di pensare che, quando questo bruttissimo periodo prima o poi si sarà definitivamente chiuso, potremo tornare come eravamo prima. Sono convinto invece, per l’esperienza che ho fatto e per quanto adesso osservo, che questa tragedia non sia assolutamente una brutta parentesi da superare per tornare come prima: è un tempo che ci parla, un kairòs. È un tempo che urla e che ci chiede di cambiare”.