Con il Covid-19 si è abbattuta sul nostro Paese e su gran parte del mondo una crisi senza precedenti in termini economici e sociali, oltre che sanitari, che sta mettendo a dura prova la resistenza e la capacità di riemergere di tutti e di ciascuno. Ma non v’è dubbio che dirimente e assolutamente decisivo risulta l’intervento dei pubblici poteri, chiamati a circoscrivere l’impatto esiziale della pandemia e a recuperare quanto più possibile, in tempi non troppo lunghi, la produttività perduta e il benessere sociale.

Il contesto operativo è giuridicamente caratterizzato da una stratificazione di provvedimenti di urgenza e di strumenti innovativi, adottati e messi in atto a sostegno di cittadini e imprese. Una stratificazione che spesso, per certi profili inevitabilmente, appare eterogenea nei contenuti mentre gli effetti sono per lo più ancora incerti.

In quest’ottica si collocano anche le attesissime misure di “semplificazione” di prossima definitiva emanazione, alle quali viene consegnata la speranza di un’ effettiva accelerazione degli investimenti e di un consolidamento dell’economia nazionale. Per altro dovendo affrontare il complesso crocevia del sacrosanto contrasto alle gabbie e all’immobilismo della burocrazia, senza spalancare nuove autostrade alla corruzione e all’infiltrazione mafiosa. Un lusso che non possiamo proprio permetterci.

Posto così il problema delle misure in materia di appalti pubblici che dovrebbero – con le dovute cautele dettate dal limite temporale di efficacia delle stesse – agevolare investimenti e produttività senza depotenziare più di tanto i controlli da parte della magistratura e delle forze dell’ordine, va anche detto che alcuni settori meritano una speciale attenzione. In particolare quelli in cui la tutela dell’interesse economico va contemperata e bilanciata con la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini (quali il diritto alla sicurezza e alla salute, intesa anche come interesse della collettività tutta), che di certo non possono essere limitati e men che mai sacrificati.

Pensiamo ad esempio al settore agroalimentare. Un settore che “tira” grazie al lavoro onesto di tanti, ma che nello stesso tempo “attira” soggetti capaci di tutto, mafiosi compresi, alla ricerca di buoni profitti con bassa intensità espositiva. Ed ecco appunto che l’eccessiva semplificazione delle procedure e il ricorso a norme di razionalizzazione che rendano troppo difficili i controlli potranno agevolare il rischio di infiltrazioni criminali. Senza che appaia sufficiente – per contemperare tale rischio – la pur lodevole stipula di protocolli d’intesa con imprese e associazioni di categorie per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata.

In altre (e più semplici) parole, va considerato che tutte le procedure riguardanti la cessione di prodotti agricoli – nonché i connessi e vari adempimenti fiscali, contabili e così via -, qualora fossero semplificate indiscriminatamente, potrebbero avere come effetto indiretto quello di creare una sorta di mercato occulto di tali prodotti. Ciò causerebbe un forte danno ai consumatori finali e nel contempo costituirebbe un pericoloso precedente: nel senso del depotenziamento dei controlli in un ambito (va ribadito) particolarmente permeabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata, quale il settore agroalimentare, che con tutta evidenza ha un peso decisivo sulla qualità della nostra vita.

Gian Carlo Caselli è Direttore dell’Osservatorio di Coldiretti sulle agromafie

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