La riconversione verde, puntando anche sull’alimentazione a idrogeno, come progetto quinquennale per l’ex Ilva. È quanto immagina il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. Una decarbonizzazione totale con la chiusura dell’area a caldo e l’utilizzo esclusivo di forni elettrici: di questo, secondo un’anticipazione di Repubblica, il titolare del Mise avrebbe discusso con Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea con delega al Green Deal, ottenendo l’appoggio del politico olandese che nelle scorse settimane aveva caldeggiato l’utilizzo dei fondi destinati all’Italia per una spinta anche verso l’idrogeno.

Una svolta ambientale per Taranto, da 60 anni stretta tra lavoro e aria pulita, che spiazza i sindacati. L’utilizzo dei soli forni elettrici, infatti, abbasserebbe in maniera drastica i livelli occupazionali dell’acciaieria. Il rapporto medio sarebbe di un lavoratore su quattro. Tenendo conto degli occupati nell’area a caldo dell’ex Ilva, in sostanza, si conterebbero circa 4mila esuberi. Di “insostenibile disinvoltura” parla la Fiom-Cgil, mentre la Uilm sottolinea che si tratta di “proposte generiche, aleatorie e contraddittorie”. In particolare, per quanto riguarda l’idrogeno, Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile siderurgia, sottolinea che “non è nella disponibilità e nei tempi dichiarati dal ministro: un conto sono gli studi di fattibilità, la progettazione, la sperimentazione, altro è la gestione di orizzonti molto più concreti e immediati”.

“Non è più accettabile apprendere dalle agenzie le dichiarazioni del Ministro su vertenze che impattano su produzioni strategiche per il Paese ed il destino di migliaia di lavoratori. Pretendiamo una convocazione urgentissima del governo ed una sede in cui sia possibile confrontarsi nel merito degli assetti societari, delle ipotesi tecnologiche e impiantistiche, dei vincoli occupazionali”, tuona Venturi. “Tutto questo non fa che peggiorare la situazione e aumentare l’allarmismo e la preoccupazione tra i lavoratori”, sottolinea invece Rocco Palombella, segretario dei metalmeccanici Uil. “Dal 9 giugno scorso aspettiamo di avere un nuovo incontro con il ministro per discutere seriamente delle prospettive ambientali, occupazionali e produttive e come affrontare la drammaticità che si vive all’interno degli stabilimenti”, ricorda riferendosi all’ultimo faccia a faccia con il governo nel quale era stato illustrato il piano post-Covid di ArcelorMittal, stravolto rispetto agli accordi del 4 marzo che avevano sancito la pace giudiziaria dopo il tentativo di fuga dello scorso autunno.

“Nel frattempo – continua Palombella – la multinazionale ha continuato a fare richiesta di cassa integrazione per 8.200 lavoratori per ulteriori 13 settimane a partire dal 3 di agosto, mentre ha bloccato gli interventi di manutenzione, gli impianti per la produzione e commercializzazione sono fermi da tempo come l’Afo 2, Acciaieria 1, il Treno Nastri 1 oppure si fermeranno a fine mese come il Treno Lamiere”. Quindi la richiesta della convocazione di un accordo “urgente”. Perché, concorda la Fiom-Cgil, il sindacato “non può essere chiamato a gestire le ricadute di processi di ristrutturazione industriale decisi senza il coinvolgimento preventivo e il consenso dei lavoratori”.

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