Nonostante la pandemia Covid19 continui a fare vittime in Iran, nonostante le esplosioni multiple che stanno avvenendo in varie parti del paese, senza una spiegazione plausibile e la difficile situazione economica, l’Iran continua nella strategia del terrore.
Ci sono tre giovani a rischio imminente di esecuzione. Sono tre giovani che hanno partecipato alle proteste per il caro benzina in Iran lo scorso novembre 2019. Si chiamano Amirhossein Moradi e Mohammad Rajabi, di 25 anni, e Saeed Tamjidi di 27, e sono stati condannati la scorsa settimana dalla Corte Suprema di Teheran alla pena capitale, che ha confermato un precedente verdetto del Tribunale.
“Non eseguite la condanna” #noexecution: è questo l’hashtag che imperversa in queste ore su tutti i social. Ad oggi mercoledì 15 luglio sono arrivati a 5 milioni infatti i tweet, che chiedono al governo iraniano di interrompere la sentenza. Anche il regista premio Oscar Asghar Farhadi si è unito alla campagna per la sospensione della pena rilanciando l’hashtag su Instagram: proprio per il grande afflusso sui social con la richiesta di sospensione della pena l’Iran ha rallentato la velocità di internet.
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In una lettera aperta, gli avvocati dei ragazzi hanno dichiarato che i loro clienti hanno avuto un processo iniquo, basato su “confessioni estratte in condizioni aberranti”. “Non ci è stato permesso di difendere i nostri clienti – hanno scritto – ma speriamo di invertire la sentenza attraverso la nostra richiesta di un controllo giurisdizionale”. Le confessioni dei ragazzi, sempre secondo gli avvocati ,sono state ‘estorte’ proprio con l’uso della tortura.
Secondo il direttore del Center Human Rights, Hadi Ghaemi, il verdetto è “ingiusto”, volto a “intimidire la popolazione” e a “ridurre al silenzio le proteste”. La condanna di questi tre giovani arriva dopo l’accusa di “partecipazione al vandalismo e incendio doloso con l’intento di affrontare e intraprendere una guerra con la Repubblica islamica dell’Iran”.
Avevo già parlato in questo blog delle proteste nate lo scorso novembre. Gli scontri erano iniziati in seguito ad una decisione del governo di togliere i sussidi sulla benzina e di razionare il petrolio causando così un’impennata dei prezzi. Si erano scatenate proteste violente tanto che le autorità fermarono il dissenso con arresti arbitrari e uccisioni: durante le proteste vennero incendiati 47 negozi e 29 stazioni di servizio e danneggiati gli uffici di 140 banche.
Gli avvocati dei ragazzi hanno ammesso la partecipazione dei loro clienti alle manifestazioni, negando però il loro coinvolgimento negli atti di vandalismo.”I nostri clienti erano presenti alle proteste ma non hanno assolutamente dato fuoco a banche e automobili e il riassunto del caso include le loro dichiarazioni al tribunale che negano e respingono le confessioni fatte durante le indagini preliminari”.
“Chi conosce l’Iran – avevo scritto nel blog – sa bene che il prezzo della benzina è solo la goccia che fa traboccare il vaso. L’Iran dalla Rivoluzione Islamica ad oggi vive ormai da 40 anni in un regime di repressione e restrizioni ai quali una parte della popolazione si è adattata, mentre un’altra da anni lotta per il cambiamento. Basta appunto una scintilla per far emergere tutta la rabbia e la disillusione verso quella forma di giustizia e di libertà che soprattutto i giovani si vedono negata.” Ad oggi la situazione non è cambiata, anzi, forse peggiorata.
L’impiccagione di questi tre ragazzi è un chiaro monito alla popolazione. “L’impiccagione è la fine che farete se riproverete a protestare”: è questa la sintesi di questo orrore, si vuole terrorizzare la popolazione. Le autorità iraniane si illudono in questo modo: che impiccando tre ragazzi tutti gli altri si asterranno da ulteriori proteste e manifestazioni di malcontento.
É davvero solo un’illusione, poiché l’Iran dovrebbe ben conoscere i propri giovani, figli di una Rivoluzione Islamica che probabilmente in tanti non avrebbero mai voluto. L’Iran dovrebbe sapere che i ragazzi iraniani non si fermeranno mai e combatteranno ancora, per raggiungere quella libertà che non gli viene concessa. I giovani continueranno a protestare, la comunità internazionale farà sentire la propria voce, le autorità proseguiranno con gli arresti, le torture e le esecuzioni a morte. Ma tutto questo non sarà per sempre.