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L’Europa riparta dalle strategie comuni: per esempio dicendo addio ai paradisi fiscali

di Carlo Schettino

Il Covid-19 ha spaventato i più, ferito molti di noi e provocato dolore e perdite. Ma esso, come avviene spesso in Natura, ha anche offerto, del tutto inaspettatamente, delle enormi possibilità di cambiamento che non sarebbero mai state possibili prima del suo avvento.

Gli effetti della pandemia, come molti hanno scritto, hanno fornito l’occasione di ripensare, durante il lockdown, a come ripartire e soprattutto a come impostare le basi del nuovo sistema che vorremmo realizzare. E’ stato possibile rileggere le cause complessive di ciò che era successo e del dove eravamo finiti, alla luce di quelle soluzioni decisive e condivise che dal singolo individuo, alle organizzazioni collettive complesse, si conoscevano essere necessarie e improcrastinabili.

Sono due quelle di maggior rilievo in Europa, a mio giudizio, poiché il loro avvio potrebbe riportare i sistemi economico e politico al centro del mondo, indicando la via a tutti gli altri paesi. Il primo passo, già seriamente annunciato dalla Presidente Ursula Von der Leyen, è la lotta al cambiamento climatico. Il secondo, che invece l’Italia e altri paesi stanno intraprendendo (timidamente), è quello per la riduzione delle disuguaglianze nell’Ue.

Entrambi gli obiettivi dovranno passare sotto enormi forche caudine, non solo in termini di condivisione sulle strategie da adottare, ma soprattutto a causa degli interessi che dovranno affrontare e sconfiggere. Mi riferisco al sistema produttivo pre-Covid, essenzialmente basato sui combustibili fossili e sulle ingiuste possibilità offerte dagli stessi paesi dell’Unione di tassare diversamente i profitti delle multinazionali con sede in Europa.

E’ tempo di cambiare. L’Unione dovrebbe intervenire sulle singole esigenze dei Paesi e privilegiare le politiche e le strategie comuni. Sul fronte del cambiamento climatico, non è più ammissibile che un’azienda produca auto inquinanti (magari mentendo sui test di verifica) invece che convergere verso l’elettrico/ibrido o la costruzione di centrali termiche a combustione (magari progettate 5 anni fa) piuttosto che sulla produzione e distribuzione di energie rinnovabili (in funzione delle possibilità dei diversi Paesi).

Così come si dovrebbe armonizzare le regole legate al riscaldamento delle abitazioni o la riqualificazione di questi, insieme alla riprogettazione dei flussi di lavoro e produzione (smartworking) in modo che siano individuati criteri e regole generali che normino i comportamenti e premino quelli più virtuosi (non inquinanti e sicuri).

Sul fronte della disuguaglianza si dovrebbe armonizzare primariamente la fiscalità europea rivedendola nella sua interezza e certamente eliminando la possibilità dei singoli stati di adottare politiche fiscali i cui effetti possano danneggiare altri membri della Ue. Mi riferisco al paradosso europeo delle fiscalità agevolate che alcuni paesi (Olanda, Irlanda, Ungheria, Lussemburgo, Malta, Cipro) possono utilizzare a danno delle altre.

E’ noto che esista una competizione di regime fiscale che però, seppure in parte appariva necessaria, penalizza in realtà i grandi paesi della Ue (Francia, Italia, Germania) e che impedisce di fatto l’utilizzo di centinaia di miliardi di euro per il sostegno e il rigore che a questi stessi paese viene poi richiesto ai fini della salvaguardia della sicurezza finanziaria della intera Unione.

I dati di Oxfam, Mediobanca e altre istituzioni internazionali hanno mostrato che le tecniche di cash pooling e altri strumenti similari rendono i paesi che li permettono dei veri e propri paradisi fiscali. Duole poi leggere che questi stessi paesi, parassitariamente arricchiti dalla sottrazione di gettito a danno di altri, possano avere lo stesso peso in fase di Commissione sull’utilizzo di fondi a fondo perduto a sostegno dei loro depredati. Oltre al danno anche la beffa.

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