Poche ore dopo il suo arrivo nel lussuoso Hotel de Russie di Roma dove pare sia un habitué, Raffaele Mincione è stato raggiunto dalla polizia su mandato della magistratura vaticana. Gli agenti lo hanno invitato a comparire in commissariato, dove poi è scattato il sequestro dei suoi cellulari e di un tablet. È l’ennesimo colpo di scena nell’inchiesta sul palazzo di Londra acquistato dal Vaticano che lo vede sotto indagine per peculato. Mincione si trovava nella Capitale per risolvere alcune questioni personali. Non appena ha fatto il check-in in albergo, è partito l’alert delle forze dell’ordine. E così, intorno alle 5 e mezza del mattino, quattro volanti della polizia si sono presentate davanti alla struttura. “Si tratta di un episodio in attuazione di una rogatoria del dicembre 2019”, hanno fatto sapere fonti vicine al broker italo-londinese, a cui solo un mese fa erano stati sequestrati alcuni conti correnti in Svizzera.
La vicenda in cui è coinvolto Mincione inizia nel 2012, quando dalle casse della Segreteria di Stato vaticana parte un investimento di oltre 200 milioni di dollari destinato al fondo lussemburghese Athena, riconducibile proprio al broker. Uno degli obiettivi è quello di acquistare l’ormai famigerato immobile di pregio situato in Sloane Avenue, a Londra. Operazione che poi si conclude a fine 2018. A fare da intermediario a un certo punto subentra il finanziere molisano Gianluigi Torzi, poi arrestato dalla Gendarmeria della Santa Sede (è rimasto in carcere per 9 giorni) con l’accusa di aver intascato 15 milioni e ora sotto indagine per estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio. L’ipotesi degli inquirenti è che attraverso acrobazie finanziarie sia riuscito a tenere in pugno il Vaticano trattenendo mille azioni dell’immobile all’insaputa dei vertici della Santa Sede, privandoli del diritto di voto. E che poi abbia ottenuto la “buonuscita” milionaria per uscire definitivamente dalla gestione del palazzo. Per quanto riguarda Mincione, i pm sospettano che abbia agito in “palese conflitto di interessi” e di aver utilizzato parte dei soldi del Papa “a proprio profitto”.
Secondo le indagini, il Vaticano avrebbe speso in totale oltre 300 milioni di euro nella compravendita del palazzo, servendosi anche delle donazioni dell’Obolo di San Pietro, cioè dei soldi che i fedeli donano al Papa per aiutare i poveri e provvedere alle necessità materiali della Chiesa. 18 milioni di euro è la stima delle perdite. Finora l’inchiesta ha portato al licenziamento di 5 persone, tra cui gli alti dirigenti della Segreteria vaticana Fabrizio Tirabassi e monsignor Alberto Perlasca. Sotto i riflettori (ma non indagati) sono finiti anche il cardinale Angelo Becciu – all’epoca dei fatti a capo della sezione Affari generali della Segreteria vaticana – e il suo successore Edgar Pena Parra nominato da Papa Francesco.
In tutto questo Mincione non è rimasto a guardare. A fine giugno, come riportato dal Corriere della Sera, ha presentato due cause al tribunale di Londra proprio contro la Segreteria di Stato vaticana, oggi guidata dal cardinale Pietro Parolin. Il broker chiede all’Alta corte inglese di verificare se le operazioni di gestione dei capitali vaticani siano state effettuate con regolarità e correttezza.