Circa un mese fa, venne pubblicato un mio post che anticipava la sperimentazione in Brasile del vaccino anti-Covid, nato dagli studi dell’università di Oxford e prodotto dalla multinazionale farmaceutica inglese Astra Zeneca. I volontari reclutati tra civili e personale sanitario sono adesso 5000: 3000 a São Paulo e 2000 a Rio de Janeiro.
Secondo le dichiarazioni della direttrice di Astra Zeneca Brasil, Maria Augusta Bernardini, la procedura è ora allo stadio 3, applicata su due gruppi: al primo verrà inoculato il vaccino, mentre al secondo sarà iniettato invece un comparatore attivo.
La differenza tra questo e il placebo, cioè un trattamento inattivo, è che il comparatore è un trattamento di efficacia dimostrata sulla malattia in esame: i volontari sono stati selezionati dopo essere risultati negativi al tampone e hanno un’età compresa tra i 18 e i 55 anni. Entrambe le tecniche, in linguaggio medico, rientrano nella categoria del “confronto randomizzato in doppio cieco”. Entro novembre si sapranno i primi risultati, anche se i gruppi verranno monitorati da Astra Zeneca fino a giugno 2021.
Nel frattempo, vista la situazione drammatica che affligge il Brasile, la direttrice del Departamento de Ciência e Tecnologia do Ministério da Saúde, Camile Sachetti, ha comunicato la decisione del governo di produrre tra dicembre e gennaio 2021 30.400.000 dosi di vaccino “con rischio” prima che gli studi abbiano termine.
Ciò significa, nelle sue parole, che il governo brasiliano si assume tale rischio “alla luce del fatto che a livello globale ci potrebbe essere una gara sfrenata a chi riesce a procacciarsi il vaccino per primo, per cui il Brasile non può rischiare di rimanere indietro proprio adesso che siamo la prima nazione al mondo a sperimentarlo sull’uomo” (dopo il Regno Unito, nda).
La presidente di Oswaldo Cruz Foundation (Fiocruz) – uno degli istituti di ricerca più quotati al mondo – ha chiuso un accordo con Astra Zeneca per l’acquisto del principio attivo e il trasferimento della tecnologia al laboratorio Bio-Manguinhos, affinché possa produrre tale quantitativo in tempo per essere distribuito nei primi mesi del 2021.
Il costo dei 30 milioni e passa di dosi è stato concordato in 127 milioni di dollari, cioè 4 dollari circa a dose. Se questa prima ondata ottenesse i benefici sperati, si procederebbe nella produzione di altri 70 milioni di dosi al costo preventivato di 161 milioni di dollari, cioè 2,3 dollari come prezzo unitario, circa la metà del primo stock.
Astra Zeneca finora ha mantenuto l’impegno di procedere celermente nella sperimentazione e di tenere i costi di produzione bassi ai fini di poter vendere il vaccino a prezzi accessibili, se è vero che nel secondo quantitativo raddoppiato il costo per dose si dimezzerebbe. D’altro canto, il governo brasiliano gioca d’azzardo, ovviamente sulla pelle degli altri, poiché i politici non fanno certamente parte delle intrepide cavie umane.
Se la distribuzione inizierà realmente prima che gli studi vadano a buon fine, è probabile che quei 30.400.000 brasiliani vengano pescati dagli strati più bassi, per poi riservare alle classi medio-alte il privilegio di un vaccino già testato con successo. Ovviamente è solo un’ipotesi, anche se plausibile conoscendo il Brasile.
Intanto la pandemia procede senza sosta: dai 35.026 decessi su 645.771 contagi di un mese e mezzo fa, le vittime sono più che raddoppiate: oltre 75.000 morti per quasi due milioni di casi . I test effettuati continuano ad essere insufficienti, e ciò dovrebbe fare riflettere i vertici sanitari, poiché il vaccino è efficace solo su soggetti sani e negativi ai tamponi, per cui l’incognita è se questi basterebbero per oltre 100 milioni di brasiliani – 30,4 nella prima fase e 70 nella seconda – dando per scontato che tutto vada bene. Per assurdo, rischiano di esserci più dosi di vaccino che test disponibili per lo screening.
La necessità di adottare una strategia a livello terapeutico che consenta di colmare il vuoto attuale è assolutamente prioritaria, al di là di un rimedio che ancora non esiste e, quando ci sarà, dovrà essere preceduto da un lavoro immane di screening in tempi rapidi.
L’unico il cui risultato è pronto in 20 minuti è il test del sangue, il pungi-dito, prodotto da l’azienda farmaceutica Redepharma, che lo propone attraverso i suoi punti vendita a R$ 220, una cifra non accessibile ai salariati a 1000 real mensili (cioè circa la metà della popolazione).
Lo swab nasal può ritardare mesi prima di dare un responso. Per cui il numero dei contagi non è mai aggiornato in tempo reale e le cifre sono sballate. Nel Distretto Federale il pungi-dito è già nel protocollo sanitario: secondo i dati forniti dalla Secretaria de Saúde di Brasilia, abbinato al tampone classico, ha consentito di testare 403.708 pazienti individuando 36.142 positivi, 9%. Tuttavia, su 3.015.268 residenti i test effettuati incidono per il 13%. Ancora troppo poco.
Il Brasile è senza un ministro della Salute dalle dimissioni di Teich di due mesi fa, che aveva resistito 20 giorni appena dopo il siluramento del suo predecessore Mandetta “reo” di non approvare il comportamento irresponsabile di Bozo allergico a maschere e quarantena, e di essersi opposto all’impiego della clorochina. Bolsonaro d’altra parte è troppo occupato ora, vittima della sua stessa “gripezinha”.
Ha evitato l’impeachment oliando i partiti di centro, oltre ai giudici che hanno già concesso al primogenito l’habeas corpus – in pratica il non luogo a procedere – per il reato di sottrazione di denaro pubblico. Flávio, come sappiamo, è specializzato nella rachadinha, un giroconto truffaldino attraverso il quale sono confluiti per anni nelle capienti tasche del pupillo presidenziale parte degli stipendi dei suoi dipendenti. Uno schema iniziato quando era membro dell’Assemblea Legislativa di Rio de Janeiro. Non solo: è stato scarcerato pure Fabrício Queiroz, uomo di fiducia di Bolsonaro Jr. e fulcro del meccanismo. Ora è ai domiciliari.
Ps. Attraverso il sito del governo ho fatto richiesta alla Fiocruz per ricevere dettagli sul grado di rischio di un vaccino prodotto prima della fine del percorso sperimentale. La richiesta è stata protocollata per cui, secondo la legge federale, una risposta è dovuta entro e non oltre 20 giorni.