di Jakub Stanislaw Golebiewski
È di un paio di giorni la notizia che la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio presieduta dalla senatrice Valeria Valente, ha approvato all’unanimità una relazione per contrastare in modo più efficace il dramma della violenza contro le donne per colmare le disuguaglianze di genere dal punto di vista economico, sociale e politico e cambiare la cultura che genera e perpetua la violenza maschile. Il documento si propone di realizzare una politica che superi la logica emergenziale per costruire – ha spiegato Valeria Valente “una risposta strutturale e sistemica al fenomeno della violenza contro le donne”.
Per comprendere meglio la questione della violenza di genere, soprattutto quella che avviene tra le mura di casa, osserviamo meglio chi si trova dall’altra parte della barricata entrando nell’ampio universo delle lobby dei padri separati nelle quali troviamo ogni tipologia di uomo, a partire dai padri responsabili e collaborativi nella gestione del lavoro di cura dei figli fino agli stalker, passando dai violenti agli abusanti e maltrattanti verso i figli.
Come sappiamo tutte queste forme di violenza sono estremamente gravi soprattutto per le conseguenze sulle vittime e le ricadute sociali. Chi commette ripetutamente azioni violente fra le mura domestiche e le nega spudoratamente anche dinanzi ai propri figli, testimoni degli eventi, di solito ha un unico obiettivo: desidera porre la sua vittima in uno stato di sudditanza perché vuole sentirsi potente, vuole esercitare azioni di comando e di controllo su un membro della famiglia per farlo sentire appagato e sicuro di sé.
Attenzione però, di solito si utilizza il termine generico “violenza di genere” per indicare la violenza sulle donne, perché i dati ci dicono che le donne sono colpite in misura maggiore ma ci sono anche uomini vittime di maltrattamenti da parte della partner, con possibili conseguenze altrettanto letali. L’idea che un uomo, un padre disponga del corpo di chi “gli appartiene” è radicata a tutti i livelli nelle culture patriarcali.
Ma ancora oggi collettivamente si tende a ricercare la corresponsabilità nelle donne per le violenze che hanno subito e la stampa e i social quando commentano crimini che purtroppo finiscono in cronaca, indulgono in dettagli che finiscono per oltraggiare e colpevolizzare le vittime.
Secondo alcuni dati Istat del 2019, alla domanda sul perché alcuni uomini sono violenti con le proprie compagne e mogli, il 77,7% degli intervistati risponde perché le donne sono considerate oggetti di proprietà. Sempre secondo l’Istat nel 2018 sono state uccise 133 donne, nel 54,9% dei casi sono state vittime del partner attuale o dell’ex.
È di fatto un’emergenza nazionale e va combattuta non solo sotto il profilo normativo e giudiziario ma soprattutto quello culturale e mediatico, informando a qualsiasi livello e con la consapevole convinzione che questo tipo di violenza non può essere “normalizzata” nel discorso pubblico, non possono essere lasciati spiragli a nessuna giustificazione, né tanto meno vanno colpevolizzate le vittime.
Nessuna violenza può trovare giustificazione e il fatto che molte di queste siano inserite con prepotenza nella cornice narrativa del “dramma dei papà separati” è preoccupante soprattutto perché richiama un’idea cardine dei movimenti misogini e mascolinisti degli Mra (Men’s Right Activist) secondo cui gran parte delle sentenze di affido condiviso di figli minori si risolvano a favore della madre costituisce non solo un sopruso da parte delle istituzioni, ma un’emergenza sociale paragonabile a quella dei femminicidi, insomma una sorta di violenza di genere “invertita”.
Ed è un’idea che in Italia sta prendendo piede spinta da noti referenti politici, basti ricordare il ddl 735 presentato due anni fa dal senatore leghista Simone Pillon che voleva imporre ad ogni costo una bigenitorialità forzata tramite l’affido condiviso con tempi paritetici e il mantenimento diretto mettendo a rischio la possibilità, per donne e bambini, di liberarsi dai vincoli di una relazione abusiva e distruttiva.
Se pur archiviato, il documento di Pillon ha creato una frattura ancora più ampia tra il mondo maschile e quello femminile confermando come siano nocive le politiche che vogliono rendere il mondo un posto migliore, ma solo per gli uomini.