Nel suo primo libro divulgativo "Ombre allo specchio - Bioterrorismo, infodemia e il futuro dopo la crisi" la dottoressa del Sacco di Milano racconta con uno sguardo personale ("sono una vera pecora nera"), con una 'sfumatura diversa', quell’accidente che è accaduto in Italia e nel mondo a partire dagli ultimi mesi del 2019: il coronavirus. Dai tagli alla sanità al sistema (fallato) dei media
Più che un libro al femminile pare un libro femminista. Un saggio che vive dell’orgoglio e dell’affermarsi della donna nel mondo attuale…
Questo sì, però non accetto il discorso sul femminismo, perché tutto ciò che è estremizzato concettualmente non mi va. Non mi piace il maschilismo e neanche il femminismo, ma certamente c’è un’impronta importante al femminile perché anche tutto ciò che è accaduto attorno al Covid-19 ha rivelato come la nostra società sia maschilista. L’ho vissuto in prima persona e lo si è respirato dappertutto: dai tavoli tecnici governativi tutti al maschile, agli insulti e alle offese fatte da colleghi uomini a colleghi donne. Il maschilismo impera e non tende a migliorare.
Gli stralci biografici iniziali del libro dove racconta del baronaggio universitario che ha subito va ben oltre le molestie sessuali e giunge addirittura a richieste di servilismo medioevale…
È un tema che sento molto ma senza esasperare troppo l’idea del femminile. Nel senso che io non sono per le quote rosa, ma per la possibilità di essere valutata meritocraticamente; non sono per l’esclusione e lo sfruttamento sessista, ma quando c’è una donna senza merito o addirittura strumentalizza la sua femminilità a scopi personali di carriera io sono pronta a criticarla. Certo il nostro mondo attuale è maschilista con la m maiuscola.
Come si scardina questo meccanismo socio-antropologico?
Educando le madri. Siamo noi mamme le responsabili di questa situazione, sono le donne responsabili di questa situazione. Lo sono le mamme perché già educano i figli con una differenza sostanziale nel ruolo del figlio maschio rispetto alla figlia femmina. Con già una divisione di ruoli assistenziali casalinghi per la figlia, e cavalleristico ed esenti dai dover domestici per i maschi. I figli educati così saranno ovviamente maschilisti. E l’altra responsabilità sono le donne che non si autostimano. Perché se una donna accetta di essere maltrattata, lo accetta e lo subisce perché non ha autostima, altrimenti con i mezzi legali farebbe valere propri diritti e si farebbe strada.
A pagina 38 del libro scrive: “Ho certezze che la pandemia passerà”
Passerà come sono passate tutte le pandemie della storia, addirittura in tempi in cui i mezzi sanitari erano ridicoli rispetto a quelli di oggi. Invece se il virus rimarrà tra di noi o sparirà non possiamo saperlo.
Ogni istante, ad ogni focolaio, sembra ricominciare sempre la paura…
Per quanto riguarda l’Italia e gran parte dell’Europa negli ultimi due mesi le cose sono andate molto meglio. Nel senso che oggi praticamente questo virus anche se sta circolando non dà patologie gravi. Dà invece patologie banali o nel 95% dei casi nessuna sintomatologia. Non possiamo parlare né di situazioni né di patologie gravi. Le nostre terapie intensive si sono svuotate, anche grazie al fatto che oggi il virus è conosciuto un po’ meglio e abbiamo anche armi terapeutiche per gestire paziente fin dall’inizio.
Nel capitolo “Casualità o complotto” dedica realmente un ampio spazio al “bioterrorismo”. Dobbiamo preoccuparci?
E dire che io sono quella che guarda sempre il bicchiere mezzo pieno attirandomi critiche universali… Guardi, questo settore esiste fin da quando si catapultavano i cadaveri dei morti di peste dentro le mura delle città nemiche. Utilizzare il “morbo” come arma esiste da millenni. Andando avanti dell’evoluzione della cultura e della scienza si evolve anche l’arma biologica. Esiste una rete di intelligence che collabora con laboratori come il nostro per stare sempre all’erta sull’utilizzo eventuale di questi microorganismi. Non ultimo, durante l’epidemia di Ebola si sono rintracciati terroristi che si erano impossessati del virus proprio a scopo lesivo. Il pericolo esiste, ma fino ad oggi, sono episodi limitati, perché c’è un network di controllo importantissimo.
Il fatto che in questi mesi l’attenzione si sia focalizzata su un’ipotetica preparazione del Sars-Cov2 in laboratorio significa che comunque una base di verità nell’ipotesi potrebbe comunque esserci, ben oltre le elucubrazioni complottiste…
La risposta non la sapremo mai per motivi di politica internazionale, perché oramai i rapporti economici e politici sono diventati estremamente complessi. Due nazioni come Stati Uniti e Cina, che possono apparire pubblicamente nemiche, in effetti collaborano strettamente: basti pensare che la Cina possiede una larga fetta del debito statunitense. Mai e poi mai gli Usa dichiareranno guerra alla Cina. Fanno vedere i muscoli, ma la guerra fredda si è spostata su altri piani. Insomma questo dettaglio, per motivi di strategia politica, non lo si saprà mai. Ma non si può escludere né che un virus scappi involontariamente da un laboratorio – un anno dopo l’epidemia della Sars a Singapore alcuni ricercatori che lavoravano su un possibile vaccino si sono infettati – né si può escludere che uno scienziato malevolo porti fuori dal suo laboratorio un virus per un attacco bioterroristico. Ho sempre detto che parlare con certezza su che cosa sia avvenuto o non sia avvenuto ha assolutamente lo stesso valore: non è dimostrabile. Quello che rimane ancora oggi un punto interrogativo è da dove questo virus è arrivato. È la prima volta nella storia di una pandemia che non si riesce a rintracciare il filo di origine del virus. Questo ci lascia, come dire, una certa curiosità.
In Spillover di David Quammen (Adelphi) si intuisce la fatica a livello di ricerca scientifica nel risalire a tutta la catena di trasmissione del virus tra animale e uomo…
Vero. Ma poi nel tempo di solito ci si riesce. Invece siamo al punto di partenza.
Il famoso pipistrello…
E come da lì sia arrivato all’uomo non si riesce a spiegare, perché sarebbe uno spillover, un salto eccessivo. Ci vuole un ospite intermedio che non c’è ancora. Si era detto il pangolino ma non lo è. C’è un buco di conoscenza che spero si possa colmare.
Pandemia dell’informazione. Lei descrive con molta cognizione di causa due danni opposti e altrettanto gravi: individualismo spinto e ‘tuttologia’. Ce l’aveva con qualche suo collega in particolare?
Quello che mi ha fatto arrabbiare è che purtroppo attraverso i media che fanno copia incolla di notizie precedenti, una mia frase del 23 febbraio sul mio profilo privato Facebook, dove dico “niente panico, il virus è poco più serio di un’influenza”, una dichiarazione fatta prima da Burioni e il giorno dopo da Pregliasco e dal Cnr, ecco, la minimizzatrice sono rimasta solo io. È un difetto della comunicazione: molti giornalisti vanno alla ricerca dello scoop o sensazione impattante e non della notizia vera. Peraltro, per ritornare nella mia ottica, c’era una donna da massacrare e quella hanno trovato. Così mi sono ritirata dai media. Anche perché si sfocia nell’infodemia: un eccesso di presenza dei virologi che così in brevissimo tempo sono diventati delle star e delle soubrette. L’informazione va bene, siamo disponibili a darla, ma non si può stare tutte le sere in tv, molte volte la stessa persona è su due reti diverse in contemporanea con il miracolo di San Francesco. È offensivo nei confronti della serietà della scienza.
Tra marzo e aprile scorso c’è stato un momento in cui la domanda mediatica di virologi era forte…
…per scoprire poi che molti colleghi avevano degli agenti che li collocavano! Questo mi ha indotto a lasciare la scena. Ho un concetto dell’informazione scientifica molto diverso. Il bello è che questa cosa l’ho saputa casualmente, mi ha telefonato un giornalista chiedendo chi fosse il mio agente. E mi ha spiegato i cachet.
Poco oltre metà libro sottolinea le colpe della politica sovrastata dagli interessi economici: “Mentre noi scienziati ottimizzavamo le risposte facendo esercitazioni l’economia e la politica tagliavano la sanità”.
Accade da anni. Partiamo, in Italia, da un comitato per le pandemie che all’interno del nostro Ministero della Salute non si riunisce dal 2009-2010. E arriviamo, a livello internazionale, ad informazioni dettagliate di quello che era necessario fare per prepararsi ad una pandemia (i cosiddetti stockpile, le scorte di riserva di camici, mascherine, ecc…) che non sono mai arrivate ai ministeri delle varie nazioni. Mai letti, quindi mai applicati. Quando si parla di prevenzione si investe perché qualcosa non accada o perché non si sa quando accada. Il politico invece ha bisogno di investire per qualcosa che gli produca subito notorietà e voti. Questo accade ovunque. Per fare quadrare i conti, in Italia, a fronte di una crisi economica generale, si sono poi tagliati posti negli ospedali e si è ridotta all’osso l’assistenza sanitaria. Ce ne siamo accorti perché in un mese abbiamo dovuto centuplicare i posti nelle terapie intensive. Posti che, se avessimo avuto già pronti, avrebbero evitato molte morti.
Tra l’altro lei scrive che di tagli alla sanità ne arriveranno altri…
La crisi economica diventerà catastrofica in autunno quando finiranno promesse e contributi una tantum e la gente si ritroverà povera. Purtroppo ci si dimenticherà quello che abbiamo vissuto e si continuerà a tagliare ancora la sanità. È la spesa più facile da tagliare e la tendenza è quella di creare una richiesta del cittadino verso il privato.
Cito dal suo libro: “Non ho mai capito perché un’erogazione sanitaria effettuata da un ente pubblico debba costare più di quella prestata da un privato”.
È un paradosso: tutte le volte che si privatizza un servizio diventa efficiente e remunerativo. A parte il fatto che per me la salute pubblica non può essere un business. C’è anche un altro discorso. Perché gli stessi malati costano in maniera diversa? A parer mio ci sono due elementi negativi, in ciascuno dei due mondi. Nel pubblico abbiamo lo spreco di risorse, dovuto allo scarso controllo, e alla scarsa efficienza della pubblica amministrazione perché chi lavora nel pubblico non viene mai licenziato. Dall’altro lato, nel privato c’è un’eccessiva spinta al risparmio e al business. Se si facesse una giusta mediazione tra i due mondi, più efficiente pubblico e meno business oriented il privato, avremmo un servizio per la gente di grande utilità. Il privato deve esistere per dare qualche comfort in più per il cittadino che se lo può permettere, ma non l’assistenza sanitaria. Se subisco un intervento chirurgico deve essere eccellente in entrambi i settori. Tutti abbiamo uguale diritto di assistenza sanitaria.
I buoi sembrano già scappati dalla stalla: da dove si riparte per invertire la rotta?
Direi da un sistema serio di controllo. Quando si parla di “assicurazioni” la gente pensa allo spettro delle assicurazioni statunitensi: ovvero se non hai la carta di credito non riesci ad essere ricoverato nemmeno per un intervento grave. Creando invece delle assicurazioni, o chiamatele come volete, che controllino i percorsi sanitari e le prestazioni erogate ai pazienti, probabilmente la qualità del servizio potrà migliorare.
Faccia un esempio pratico.
È un progetto molto complesso ma può essere una possibilità. Anziché pagare lo Stato potremmo pagare un’assicurazione che peraltro ci obbligherebbe anche a percorsi di prevenzione, perché avrebbero tutto l’interesse che non ci si ammali. In Germania per le donne ci sono assicurazioni sul cancro all’utero che vengono stipulate solo se ogni anno fai determinati test di prevenzione. L’efficienza dei controlli è garantita da enti che hanno tutto l’interesse perché vengano fatti bene per evitare futuri spese di assistenza impegnative. Purtroppo la leva è sempre il denaro. Non ne usciamo. Ed è utopistico pensare ad una leva diversa, che sia morale o culturale. Se è quella economica utilizziamola al meglio.
Nel suo libro c’è pure un dettaglio sovranista: bisogna fare scorta nazionale di reagenti e tamponi. Nelle settimane della pandemia siamo troppo dipesi dagli altri Paesi…
Quando ci sono condizioni estreme di necessità logicamente ognuno guarda la propria popolazione prima di quella delle altre nazioni. Quindi, senza esasperare il concetto, e in un’ottica di cooperazione internazionale, un minimo di scorte nazionali teniamocele. Siamo andati a piatire respiratori, reagenti, mascherine perché in Italia non si producevano. Non bisogna eccedere in nazionalismo, ma le nazioni in casa propria devono assicurarsi un minimo di sopravvivenza in caso di emergenza.
Sembra che il nostro futuro lei lo riassuma in questa frase scritta nell’ultimo capitolo del suo libro: “Non più lockdown, ma convivenza con il virus”.
Lo stanno dicendo tutti quanti. Guardate, io sono sempre molto ligia a leggi e disposizioni che si danno. Dobbiamo condividere le regole per convivere, che ci piaccia o no. Però con il lockdown è stata la prima volta nell’infettivologia che si sono isolati i sani con una conseguente devastazione economica. Quindi tracciare, isolare, abituarsi a convivere con il virus, ma producendo. Perché questo virus provocherà molti più morti per problemi economici che per il virus stesso.