Silver Axe, ascia d’argento: è il nome di un’operazione coordinata da Europol contro la contraffazione e il commercio illecito di pesticidi su scala europea. Quest’anno è arrivata alla quinta edizione e ha visto sequestrare una quantità di prodotti illegali doppia rispetto allo scorso anno: 1346 tonnellate di pesticidi illegali in 32 Paesi coinvolti.
In Italia, l’operazione ha riguardato anzitutto la provincia di Viterbo, dove i Nas hanno sequestrato 16,9 tonnellate di pesticidi, dal valore di 300.000 euro. Sono numeri che rendono l’idea di un fenomeno criminale in ascesa che è, ormai, anche l’ennesima, insidiosissima fonte di rischio per l’ambiente e la salute pubblica: il traffico di pesticidi illegali e/o contraffatti. Come non bastassero quelli legali!
L’ultimo numero di Internazionale contiene una magistrale inchiesta giornalistica che attesta l’entità crescente e la pericolosità del fenomeno, in tutta Europa. Ma l’elemento che viene decisamente meglio illuminato è la sostanziale assenza, sempre su base europea, di una seria tutela penale contro questa nuova minaccia pressoché globale. Elemento che concorre poderosamente alla crescita del giro illegale. Come sempre, peraltro, quando c’è un fenomeno criminale pervasivo e un apparato sanzionatorio non proprio all’altezza delle condotte da contrastare.
Il testo fondamentale del diritto Ue in questa materia, la Direttiva n. 128/2009 sull’uso sostenibile dei pesticidi, infatti, si limita ad affermare che le sanzioni previste dagli stati membri nelle normative nazionali di recepimento della direttiva “sono efficaci, proporzionate e dissuasive”. E’ evidente l’ampio margine di manovra che quella formulazione lascia ai singoli paesi. Con risultati che, almeno in alcuni casi, sono stati quelli facilmente prevedibili. Come in questo paese, per esempio. Dove l’attuazione della direttiva è stata affidata al decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150.
Qui il legislatore ha fatto una scelta di campo per quanto riguarda proprio l’apparato sanzionatorio: al bando le sanzioni penali! Tutti gli illeciti, e quindi le sanzioni, sono di natura esclusivamente amministrativa (con l’ovvia clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”). Per esempio, con riferimento ai comportamenti illeciti più diffusi e pregnanti – l’acquisto, l’utilizzo, la detenzione, ma anche la vendita – la sanzione è quella della somma da 5.000 euro a 20.000 euro.
E’ vero che la veneranda legge n. 283/1962 prevede una norma che penalizza “la produzione, il commercio, la vendita” di “fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari immagazzinate”; e che la Corte di Cassazione ha confermato poco più di tre anni fa che questa disposizione non è stata abrogata dal D. Lgs. 14 agosto 2012, n. 150. Ma, secondo un costume penalistico consolidato in questi casi, il reato in questione è una mera contravvenzione e la pena è l’arresto fino ad un anno o l’ammenda da euro 309 a euro 30.987.
Da tutto ciò discende una serie di conseguenze pratiche difficilmente compatibili con sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive”, come richiederebbe la direttiva comunitaria.
Solo per citare le due più significative:
1) le contravvenzioni si prescrivono, ossia si estinguono, al massimo in cinque anni, e non è proprio scontato in questo paese, per dirla in maniera delicata, che in quel tempo un processo penale sia definito con una sentenza irrevocabile;
2) la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda rende possibile l’oblazione del reato, pagando la metà dell’ammenda massima. Il pagamento estingue il reato.
Insomma, contro il traffico di pesticidi siamo praticamente all’anno zero della repressione penale. Con un’ulteriore, poco confortante, precisazione: se in altri paesi d’Europa quel traffico può esser gestito anche da soggetti singoli, o comunque non inquadrati in contesti criminali organizzati, nel belpaese esso è già stato intercettato e “valorizzato” dalle varie mafie, come è stato documentato da alcune inchieste giornalistiche, in particolare quelle del sociologo Omizzolo.
E, quando ci sono di mezzo le mafie, i rischi per l’ambiente e la salute pubblica si moltiplicano per definizione.
Questa situazione di sostanziale vuoto di tutela ricorda molto da vicino quella che esisteva, in generale, in materia di difesa penale dell’ambiente fino al maggio 2015; fino a che, cioè, è stata approvata, dopo un’attesa ultraventennale, la legge “ecoreati”.
Oggi, c’è un altro disegno di legge che, sotto vari profili, pare ripercorrere il cammino lungo e accidentato che fu della legge n. 68/2015: quello in materia di riforma dei reati agroalimentari.
È all’esame del parlamento ormai da mesi, dopo che il relativo progetto fu consegnato dal magistrato Gian Carlo Caselli all’allora ministro Orlando ormai cinque anni fa.
Potrebbe essere un’ottima occasione per provare a colmare, almeno in parte, quel vuoto nel quale può precipitare una fetta importante della tutela dell’ambiente e della salute pubblica di questo paese; chiudendo, così, il cerchio virtuoso che fu aperto proprio con la legge ecoreati. O può essere un’altra occasione persa.