Quella della famiglia Benetton è una traiettoria abbastanza tipica del capitalismo italiano, a base familiare e dotata di inventiva, intraprendenza e una certa dose di spregiudicatezza. A partire dal settore dell’abbigliamento, gestito in modo innovativo anche grazie a campagne comunicative non prive di genialità, i Benetton hanno accumulato un notevole capitale investito in vari settori del tutto diversi da quello originario. Una pagina non particolarmente brillante della storia della famiglia è stata costituita dai grandi investimenti agro-immobiliari in America Latina, e soprattutto in Argentina, caratterizzati da saccheggio selvaggio delle risorse naturali e soprattutto violazione dei diritti dei popoli indigeni.
Ricordiamo la brutale repressione di cui fu vittima il giovane artigiano Santiago Maldonado, il cui corpo fu trovato in un fiume nell’ottobre 2017, dopo che era sparito a seguito della sua partecipazione a una manifestazione che rivendicava appunto i diritti degli indigeni Mapuche sulle terre sottratte dai Benetton. O anche il caso del giovane Facundo Jones Huala, giovane leader Mapuche arrestato nello stesso anno a seguito di mobilitazioni contro Benetton, e successivamente condannato ingiustamente e senza prove a nove anni di detenzione in Cile.
Sempre sostenuti da un ampio arco di forze politiche bipartisan e dalla gran parte della stampa nazionale, i Benetton si sono insediati nel ganglio strategico delle comunicazioni, mediante la società Autostrade, fino al tragico crollo del ponte Morandi, un episodio che scoperchiò inadempienze, privilegi e incompetenze, rese possibili dalla connivenza della pessima classe politica italiana, sempre pronta a prostrarsi di fronte agli sghei, per recitare in modo automatico e ripetitivo il mantra nauseabondo della privatizzazione come soluzione a tutti i problemi.
Proprio la vicenda apparentemente conclusasi con l’estromissione dei Benetton dalla gestione delle autostrade, infine decretata dal governo Conte, dimostra, tra le altre cose, quanto il mantra in questione sia profondamente e totalmente infondato. Si apre forse la possibilità di un’inversione di tendenza del cammino di graduale ma inesorabile svendita del patrimonio pubblico irresponsabilmente avviato nei primi anni Novanta dalla classe dirigente di centro-sinistra o centro-destra.
In particolare nel settore dei trasporti sono numerosi gli esempi (si guardi ad esempio alle varie catastrofi ferroviarie avvenute in Gran Bretagna a seguito della riprivatizzazione) di quanto in realtà la gestione privatistica di beni pubblici essenziali sia votata a recare danni spesso irreparabili all’interesse pubblico e alla stessa salute e vita dei cittadini italiani.
Per consolidare questa necessaria inversione di tendenza occorrerà dotare lo Stato di risorse ingenti, in parte probabilmente ottenute dall’Unione europea e in parte ancora maggiore dalla riforma fiscale improntata a criteri di effettiva progressività in ottemperanza al dettato costituzionale, senza escludere l’imposta patrimoniale che vada a colpire duramente le grandi fortune.
Occorrerà altresì formare una nuova generazione di funzionari e imprenditori pubblici che non siano, come purtroppo è avvenuto sempre più stesso negli ultimi tempi, una sorta di caricatura malriuscita di quelli privati, in fondo provvisti dello stesso limitato orizzonte culturale e ideale.
Complimenti a Giuseppe Conte e a quelli nel suo governo che lo hanno appoggiato, per aver raggiunto questo importante risultato. Ma è solo l’inizio, Giuseppe. Bisognerà sconfiggere definitivamente l’anima filoimprenditoriale del Pd, degnamente rappresentata dalla ministra Paola De Micheli, la destra compattamente e da sempre filoimprenditoriale – a parte le solite inaffidabili sparate demagogiche di Matteo Salvini e altri all’indomani della strage, durate lo spazio di pochi giorni – e l’avidità della Confindustria, tenacemente proiettata ad aspirare, come una pompa idrovora, tutte o gran parte delle risorse pubbliche destinate alla ripresa economica post-Covid.
La pandemia ci ha dimostrato che un altro mondo non è solo possibile ma anche urgentemente necessario, se non vogliamo perpetuare un modello di sviluppo destinato a creare sempre maggiori sprechi, usurpazioni di denaro pubblico, diseguaglianze, attentati continui ai diritti fondamentali dei cittadini in nome del profitto. Anche e soprattutto a tale fine occorre perseguire senza esitazioni l’accennata inversione di tendenza mettendo l’interesse pubblico sopra alle convenienze dei privati.