Un altro ergastolo per un uomo che fino ad oggi, semplicemente, non c’è. È quello che ha chiesto la procura di Caltanissetta per Matteo Messina Denaro. L’ultimo latitante di Cosa nostra è l’uomo che ha determinato all’interno dei clan un clima di unanimità senza il quale il Totò Riina non avrebbe potuto portare avanti i suoi piani in vista delle stragi del 1992. Ne è convinto il pm di Caltanissetta, Gabriele Paci, che al termine della requisitoria sul processo che vede imputato il boss di Castelvetrano come uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ha chiesto l’ergastolo per l’ultima primula rossa. La richiesta arriva due giorni prima dell’anniversario dell’eccidio in cui persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
Ventotto anni dopo le stragi che annichilirono il Paese, l’Italia rincorre ancora la verità su quel periodo “maledetto“, come lo definisce Paci: “Non è sostenibile – spiega – che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso quella strada senza avere il consenso di Cosa nostra, perché se ci fosse stato il dissenso di una delle province ci sarebbe stata una guerra. La storia di quegli anni non sarebbe stata la stessa. Messina Denaro non può aver prestato consenso con riserva. Fu lui più di tutti l’uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno”.
Il boss di Castelvetrano è l’ultimo mafioso custode dei segreti delle stragi ancora libero: è latitante dal 1993. “Una latitanza così lunga come quella di Matteo Messina Denaro si può comprendere soltanto in funzione di coperture istituzionali e forse anche politiche”, ha detto ieri consigliere del Csm Nino Di Matteo, intervistato a Tg2 Post. “E’ certamente custode di segreti di quel periodo, di quella campagna stragista del 1993 che lo rendono in grado ancora di esercitare un potere di ricatto nei confronti delle istituzioni. Ecco perché sarebbe veramente un segnale bello se finalmente venisse rintracciato, arrestato”, ha aggiunto il magistrato.